Il presidente Usa parla di ‘metodi’ per rimanere alla Casa Bianca fino al 2032. Ma si può fare? Sì, ma solo aggirando o cambiando le regole
Donald Trump alla Casa Bianca non fino al 2028, ma per quattro anni in più: fino al 2032. All’inizio sembrava solo una battuta, una provocazione. Una di quelle a cui ha abituato la platea: l’annessione della Groenlandia, il Golfo d’America, Gaza la Miami del Mediterraneo, il licenziamento in tronco di chi non osanna il capo. Nel frattempo abbiamo visto che il piano Trump per Gaza esiste davvero, che i licenziamenti sono già iniziati, il Golfo del Messico è diventato – almeno per alcuni – davvero d’America e che la Groenlandia la vuole davvero. E pure il Canada, le terre rare ucraine e chissà che altro.
Quindi no, non si può derubricare a semplice boutade l’ipotesi – almeno nelle intenzioni – di un terzo mandato per Donald Trump, nonostante la legge, o meglio il 22esimo emendamento della Costituzione, glielo impedisca. A rendere tutto più concreto, dopo un paio di fughe in avanti dei suoi pretoriani, ci ha pensato lo stesso Trump in un’intervista alla Nbc in cui non ha espressamente detto che cercherà di trovare un modo per restare alla Casa Bianca quattro anni in più di quanto stabilito, ma ha buttato lì, sogghignante, che “esistono dei metodi”.
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Bandiera autoesplicativa
Il dialogo con la giornalista Kirsten Welker dà l’idea di quanto più di un pensiero sia balenato nella sua testa. Quando lei suggerisce che in via teorica Trump potrebbe candidarsi come vice in un ticket con Vance presidente e poi aspettare che Vance faccia un passo indietro per restituirgli il comando, lui risponde: “Questo è un modo. Ma ce ne sono altri”. Incalzato sugli altri, Trump ha preferito sviare e dire che “è troppo presto per pensarci”. Eppure alla domanda secca: “Sta scherzando?”, non ci ha girato intorno: “No, non sto scherzando”. E alla possibilità di rinunciare al terzo mandato perché magari “il lavoro sarebbe troppo” per un uomo che nel 2032 avrebbe 86 anni, ha risposto: “Io adoro lavorare”.
Sull’onda dell’intervista all’Nbc, poche ore dopo, durante una conferenza stampa, Trump ha un po’ corretto il tiro, lasciando però intendere che la cosa farebbe piacere a molti: “Non punto a quello. Ma una cosa la dico, in tanti hanno espresso il desiderio di un mio terzo mandato”.
Insomma, l’idea di un Trump 3 aleggia. Per alcuni osservatori non è nemmeno una gran sorpresa, come dimostra un post su X del giornalista di Fox News Geraldo Rivera datato 17 dicembre 2024 (quando Trump aveva già vinto le elezioni da oltre un mese, ma non si era ancora insediato): “A memoria futura. Il presidente Trump e i suoi presto inizieranno a tirare fuori l’idea di revocare o modificare il 22esimo emendamento, quello che mette un limite di due mandati presidenziali. Ciò che gli serve sono 38 Stati favorevoli su 50. Nel 2024 Trump ne ha vinti 30. E nel 2028?”.
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Trumpmania
Pochi giorni dopo la vittoria contro Harris, in un evento repubblicano a porte chiuse, Trump aveva detto: “Sospetto che non potrò correre un’altra volta. Ma è stato così bello che forse dovremmo escogitare qualcosa”. A maggio dello scorso anno, durante un intervento alla National Rifle Association (la lobby delle armi) se ne uscì con un “se vinceremo, dovremo considerare i due o i tre mandati?”. Un altro indizio porta la data del 19 febbraio di quest’anno, nemmeno un mese dopo il suo insediamento, quando il profilo ufficiale della Casa Bianca pubblica su X una finta copertina in stile Time con la foto di Trump con una corona in testa e la scritta “Long live the King” (“Lunga vita al re”). La cosa più simile, dittatori e autocrati esclusi, a un uomo il cui potere non ha limiti.
Eppure, la strada per il terzo mandato, non appare affatto semplice a meno di non auspicabili colpi di mano antidemocratici. A fissare i limiti dei mandati presidenziali americani ci avevano pensato prima una consuetudine, nata con George Washington (il primo presidente rimase in carica per due mandati e non cercò una terza rielezione), poi il tanto citato 22esimo emendamento costituzionale, ideato nel 1947 ed entrato infine in vigore nel 1951 per evitare che ci fossero altri casi come quello di Franklin Delano Roosevelt, che – complice la Seconda guerra mondiale – delle consuetudini se ne fregò e venne eletto per quattro volte tra il 1932 e il 1944.
Il 22esimo emendamento recita: “Nessuna persona può essere eletta alla carica di presidente più di due volte, e nessuna persona che ha ricoperto la carica di presidente, o ha agito come presidente, per più di due anni di un mandato per il quale un’altra persona è stata eletta presidente può essere eletta alla carica di presidente più di una volta”.
Messa così, non ci sarebbe nessuna speranza per Trump, come ha spiegato – in un articolo su The Conversation che sta facendo il giro del mondo – il politologo e professore dell’Hamilton College Philip Klinkner. Infatti il testo – è chiaro – chiude la porta a coloro che dicono che non essendo i suoi mandati consecutivi (una rarità, accaduta in precedenza solo nel 1892 a Grover Cleveland) ci sarebbe spazio per una terza elezione.
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Franklin Delano Roosevelt, quattro mandati per lui
Eppure, lo stesso Klinkner prova a immaginare scenari alternativi ricordando che “in circostanze normali, sarebbero praticamente impossibili. Ma Trump non è mai stato un presidente normale. È uno che ha già dimostrato di forzare le leggi pur di rimanere in sella, ha abusato del potere presidenziale e non ha mai nascosto di essere fortemente preoccupato, una volta terminato il mandato e decaduta l’immunità, di eventuali processi a suo carico e delle conseguenti, possibili, condanne”. Prigione inclusa.
Tornando al 22esimo emendamento, i suoi paletti proibiscono a Trump di correre ancora per la presidenza, ma non gli proibiscono espressamente di servire ancora come presidente a partire dal 20 gennaio 2029. Siamo ai cavilli, ma in effetti la legge parla solo dell’impossibilità di “essere eletti” più di due volte. Si apre quindi uno spiraglio, che è quello – come confermato nell’intervista a Nbc dallo stesso Trump – della vicepresidenza. Il 22esimo emendamento, infatti, non parla espressamente dell’impossibilità per un presidente già eletto due volte di candidarsi alla vicepresidenza. E già per nove volte nella storia degli Stati Uniti, un vice ha preso il posto del presidente, causa morte o dimissioni.
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In coppia con Vance
Cavillo dopo cavillo, salta fuori il 12esimo emendamento, che dice: “Nessuna persona ineleggibile per la carica di presidente può candidarsi come vicepresidente”. Qui ci si imbatte in una zona grigia, infatti non è esplicitamente spiegato se tra gli impedimenti del caso c’è anche quello dei due mandati presidenziali oppure ci si riferisce ai criteri standard di eleggibilità, vale a dire essere cittadini americani nati negli Stati Uniti, avere almeno 35 anni e vivere su suolo americano da almeno quattordici. Materiale da Corte Suprema, che – spostata verso destra, con alcuni giudici nominati proprio da Trump – ha recentemente dato ragione al tycoon riguardo ai dubbi legati al 14esimo emendamento e all’eventuale immunità del presidente rispetto ai fatti del 6 gennaio 2021. Se ci fosse un via libera della Corte a quel punto il ticket 2024 Trump-Vance potrebbe trasformarsi nel 2028 in Vance-Trump.
Una volta spintisi fino lì e vinta la contesa elettorale, per Trump sarebbe tutto in discesa. Infatti Vance non dovrebbe nemmeno dare le dimissioni per fare un passo indietro. Sfruttando il 25esimo emendamento, che dice che se il presidente “dichiara di non essere in grado di esercitare i poteri e le funzioni dell’ufficio... tali poteri e funzioni saranno esercitati dal vicepresidente in qualità di presidente facente funzioni”. Una situazione da repubblica delle banane, ma che con Trump in sella non stupirebbe, resa ancor più grottesca dall’applicazione del 25esimo emendamento. Vance, infatti, per fare un passo indietro una volta insediato non deve nemmeno sforzarsi a trovare una ragione o una scusa. Tantomeno fornire prove. Gli basterebbe notificare allo speaker della Camera e al presidente pro tempore del Senato di non essere in grado di adempiere alle sue funzioni. E il gioco è fatto.
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Il tandem Medvedev-Putin nel 2008
Un’altra idea simile è quella che Klinkner definisce “tandemocrazia”, un artificio usato nel 2008 da un politico che Trump negli anni ha più volte detto di stimare, un certo Vladimir Putin. All’epoca la Russia aveva un limite di due mandati presidenziali consecutivi e Putin non poteva più ricandidarsi. Come è facile immaginare (e come molti ricorderanno), lo zar scelse il più fedele tra i suoi fedelissimi, Dmitry Medvedev, che – ovviamente – stravinse. Una volta in carica, Medvedev nominò Putin primo ministro, che in quel modo continuò a comandare, sebbene da teorico sottoposto. Nel 2012 Putin si ricandidò, eliminò il limite di mandati (oltre a un sacco di altre leggi democratiche) e tredici anni dopo lo vediamo ancora al suo posto e probabilmente lì resterà fino alla sua morte, come Stalin, come Lenin, come – appunto – gli zar.
C’è poi l’ipotesi del prestanome, magari qualcuno di famiglia: non la moglie Melania (naturalizzata americana ma nata all’estero, a Novo Mesto, in Slovenia, e quindi ineleggibile), ma magari i figli Ivanka o Donald Junior. Un precedente con la moglie prestanome viene indicato proprio nell’articolo di Klinkner, che ricorda il caso di George e Lurleen Wallace. Il problema di partenza era lo stesso, stando alla Costituzione dell’Alabama George non poteva essere rieletto una terza volta. Molto popolare e attaccatissimo alla poltrona, Wallace s’inventò lo slogan “Due governatori, una causa”, proponendosi come consigliere della moglie per la cifra simbolica di un dollaro. Il duo ebbe successo e attraversò il mandato con lei a tagliare nastri alle presentazioni e lui a governare davvero.
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La campagna di George e Lurleen Wallace
L’ultima possibile via (legale) venuta finora in mente a politologi e giuristi è invece già stata tracciata dal deputato repubblicano del Tennessee Andy Ogles, neanche a dirlo, adepto del tycoon, che non ha perso tempo depositando, il 23 gennaio, tre giorni dopo la cerimonia d’insediamento di Trump, una proposta di emendamento al 22esimo emendamento tagliata su misura sull’attuale presidente. Le proposte di emendamento però non hanno vita facile in generale, visto che – per passare – devono avere l’approvazione di due terzi del Congresso (impossibile stando ai numeri attuali) o di tre quarti degli Stati (38 su 50). Degli oltre 11mila emendamenti proposti dal 1787 in poi ne sono passati solo 27 (dieci tutti insieme in quello che è chiamato comunemente Bill of Rights, datato 1791).
Quella di Ogles sembra più una mossa disperata, se non una dichiarazione di fedeltà eterna e cieca al leader, di cui parla come un innamorato: “Trump ha dimostrato di essere l’unica figura in grado di invertire il decadimento della nostra nazione e riportare l’America alla grandezza, e gli deve essere concesso il tempo necessario per raggiungere questo obiettivo”. Da qui l’idea dell’emendamento all’emendamento, che dice: “Nessuna persona può essere eletta alla carica di presidente più di tre volte, né può essere eletta per un ulteriore mandato dopo essere stata eletta per due mandati consecutivi”. Il che permetterebbe la candidatura di Trump, ma non quella degli altri presidenti ancora in vita, Bill Clinton, George W. Bush e – soprattutto – Barack Obama, ad oggi, l’unico rivale politico potenzialmente in grado di trasformare in incubo i sogni di terzo mandato di Trump. Emendamenti e cavilli permettendo.
The White House-X
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