Il reporter svedese accusato di terrorismo e insulto al presidente Erdogan, Stoccolma chiede il rilascio immediato
Stoccolma e Ankara sono ai ferri corti dopo l'arresto a Istanbul del giornalista svedese Joakim Medin giunto nella città sul Bosforo per partecipare alle proteste dell'opposizione in favore del sindaco Ekrem Imamoglu incarcerato con l'accusa di corruzione, che i suoi sostenitori ritengono falsa.
La presidenza turca ha confermato che il reporter, 40 anni, che lavora per il giornale svedese Dagens Etc, fermato al suo atterraggio il 27 marzo scorso e dietro le sbarre il giorno dopo, è accusato di "partecipazione in organizzazione terroristica armata" e di "insulto al presidente".
L'incriminazione si riferirebbe a una sua partecipazione nel 2023 ad una manifestazione a Stoccolma in favore del partito armato curdo Pkk, nella quale è stato anche esibito un pupazzo denigratorio con le sembianze del presidente turco, Recep Tayyip Erdogan, appeso fuori dal municipio della capitale svedese. Madin ha scoperto, una volta messo in cella, di essere ricercato in Turchia.
La vicenda ha generato allarme negli ambienti diplomatici svedesi. La ministra degli Esteri Maria Malmer Stenegard ha puntualizzato che il rilascio del giornalista è una "questione di una priorità assoluta" per il governo, annunciando che in settimana andrà all'incontro dei ministri degli Esteri della Nato per trasmettere al collega turco "l'estrema importanza di questa questione".
I rapporti diplomatici fra i due Paesi, entrambi membri dell'alleanza atlantica, hanno già vissuto negli scorsi anni rapporti burrascosi e momenti di forte tensione, in particolare quando Ankara si era fermamente opposta all'adesione della nazione scandinava alla Nato, accusandola di ospitare militanti ritenuti dalla Turchia terroristi. L'irrigidimento turco si era manifestato soprattutto dopo il rogo di una copia del Corano di fronte all'ambasciata turca di Stoccolma.
A Istanbul intanto l'opposizione turca serra le fila nella speranza di proseguire la sua mobilitazione all'indomani del mega raduno di centinaia di migliaia di persone. Oggi ha però osservato una pausa domenicale in occasione del primo giorno delle festività dell'Eid El Fitr, che segnano la fine del Ramadan.
In questa occasione, Imamoglu ha lanciato un appello all'unità dal carcere di Silivri, nella parte occidentale della metropoli, dove è stato imprigionato il 23 marzo scorso. "Chi pensa che non potremo celebrare questa festa si sbaglia di grosso perché troveremo sicuramente il modo di stare insieme! Riusciremo ad essere uniti per questa festa", ha assicurato in un messaggio postato su X dai suoi avvocati.
Il suo arresto ha scatenato le più grandi proteste antigovernative in oltre un decennio nel Paese alle porte dell'Europa; un vero e proprio test politico per Erdogan, visto che Imamoglu viene considerato come il candidato con le maggiori possibilità di sconfiggere il sultano di Ankara alle urne del 2027 dopo quasi un quarto di secolo al potere. Le autorità turche hanno risposto a muso duro ai manifestanti con l'arresto finora di 1.879 persone, di cui 260 in custodia cautelare in attesa del processo.