medio oriente

Israele-Palestina, finalmente è tregua

Annunciato ufficialmente l’accordo tra le parti. Subito liberi i primi tre ostaggi. Previsto il ritiro graduale dell’Idf

In sintesi:
  • Trump brucia tutti: è il primo ad annunciare l'intesa
  • Israele avrebbe accettato di rilasciare almeno mille prigionieri palestinesi
L’abbraccio tra parenti degli ostaggi a Tel Aviv
(Keystone)
15 gennaio 2025
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È il giorno dell'accordo sulla tregua a Gaza e il rilascio degli ostaggi israeliani del 7 ottobre. Mentre il sì di Israele e di Hamas è confermato da più fonti e si attende la conferma dai negoziatori di Doha, Trump brucia tutti: è il primo ad annunciare l'intesa. ‘I primi ostaggi saranno rilasciati tra poco’, dice da Mar-a-Lago. ‘Un accordo epico, realizzabile solo grazie alla mia vittoria. Abbiamo ottenuto così tanto senza nemmeno essere a Casa Bianca. Basta terroristi a Gaza, espanderemo gli accordi di Abramo’, aggiunge. All'amministrazione Biden non resta che confermare l'accordo raggiunto, mentre migliaia di persone già celebrano in tutta Gaza il cessate il fuoco annunciato dal presidente eletto.

Intesa in tre fasi

Un'intesa in tre fasi, le prime due da 42 giorni ciascuna, con il cessate il fuoco e il rilascio dei primi ostaggi già dal primo giorno. L'accordo tra Hamas e Israele siglato oggi a Doha dovrebbe prevedere anche un graduale ritiro dell'Idf dalla Striscia. Hamas, secondo le prime bozze che circolano sui media, dovrebbe rilasciare subito i primi tre rapiti, "entro domenica prossima": nella prima fase dell'intesa sono 33 gli ostaggi (bambini, donne, anziani e malati) che dovrebbero essere liberati gradualmente. Dopo i primi tre nel primo giorno della tregua, 4 dovrebbero poter tornare a casa una settimana dopo, altri tre in quella successiva e altrettanti al 21mo giorno. Nell'ultima settimana della prima fase è prevista poi la liberazione di 14 rapiti. Tra i 33 ostaggi dovrebbero esserci anche 5 soldatesse israeliane in cambio di 250 prigionieri palestinesi, in rapporto di una a 50. Hamas e i suoi alleati detengono ancora 94 persone portate via da Israele il 7 ottobre: almeno 34 di loro sono morte, secondo il governo israeliano, anche se si teme che il numero reale sia più alto. Nelle mani di Hamas ci sono poi altri quattro ostaggi, catturati dal 2014, almeno due dei quali sono morti. Tra i 94 ostaggi presi a ottobre 2023, ci sono 81 uomini e 13 donne, secondo l'ufficio del premier israeliano. Due hanno meno di 5 anni (si tratterebbe dei fratellini Bibas, la cui sorte è sconosciuta) mentre 84 sono israeliani, otto thailandesi, uno nepalese e uno tanzaniano. Israele avrebbe accettato di rilasciare almeno mille prigionieri palestinesi (potrebbe arrivare fino a 1.650 secondo alcune fonti e dipenderà dagli ostaggi liberati) durante la prima fase, tra cui circa 190 che hanno scontato condanne di 15 anni (un centinaio quelli all'ergastolo). Chi è accusato di aver ucciso israeliani non sarà rilasciato in Cisgiordania ma nella Striscia di Gaza o all'estero (si parla di Qatar e Turchia), in base ad accordi con i Paesi stranieri.


Keystone
Festa per l’accordo anche in Palestina

Non sarà invece liberato Marwan Barghouti, il leader della prima Intifada condannato a vita. Il governo Netanyahu avrebbe anche respinto la richiesta di Hamas di riavere il corpo di Yahya Sinwar, il leader di Hamas ucciso a ottobre scorso, mentre avrebbe accettato di rilasciare un numero maggiore di prigionieri palestinesi per gli ostaggi vivi rispetto ai corpi. Nella prima fase sarebbe esclusa anche la liberazione di miliziani che hanno partecipato all'attacco al Nova Festival e ai kibbutz in cui furono uccise circa 1.200 persone. L'accordo si articolerebbe in tre fasi. Al 16mo giorno dall'intesa inizierebbero i colloqui per la definizione della successive: nella seconda, sempre di 42 giorni, dovrebbero essere rilasciati tutti i rimanenti ostaggi maschi e le forze israeliane dovrebbero ritirarsi quasi completamente dalla Striscia. E, ancora, dovrebbe essere affrontato il nodo della restituzione delle salme, la cui consegna sarebbe prevista nella terza fase in cui dovrebbe essere definito anche un piano di ricostruzione e di una nuova struttura di governo sotto la supervisione di Egitto, Qatar e Nazioni Unite.

Il futuro

Per quanto riguarda il delicato nodo della presenza di Israele nella Striscia, l'accordo prevedrebbe un graduale ritiro dai centri abitati durante la prima fase mentre ai civili palestinesi di Gaza sarà consentito di tornare nel nord con un ombrello di non meglio precisati "accordi di sicurezza" (possibile un passaggio adiacente alla Salah al-Din Road, monitorato da una macchina a raggi X). L'Idf dovrebbe rimanere lungo il confine tra Gaza e l'Egitto, noto come Corridoio di Filadelfia, che separa la Striscia dal Sinai egiziano, mantenendo una zona cuscinetto di circa 800 metri lungo i confini orientali e settentrionali durante la prima fase. Le forze israeliane dovrebbero poi ritirarsi gradualmente anche dal corridoio di Netzarim che divide la Striscia in due e conduce fino al Mediterraneo. L'attuazione dell'accordo sarà garantita da Qatar, Egitto e Stati Uniti e prevede, secondo alcune fonti, un meccanismo di monitoraggio internazionale. Progressi sarebbero stati raggiunti anche per un regolare flusso di aiuti umanitari alla Striscia, stremata da 15 mesi di guerra, con un aumento dei convogli (si parla di 600 camion al giorno, di cui 300 diretti al Nord) delle organizzazioni internazionali, tra cui le Nazioni Unite. (

La gioia per le strade

Clacson, danze e bandiere palestinesi hanno accolto nella Striscia di Gaza l'annuncio dell'accordo sulla tregua. Una notizia che la popolazione attendeva con ansia ma che in molti temevano non arrivasse neanche stavolta. Poi è esplosa la gioia, e la voglia di tornare alle proprie case, anche se distrutte. "Quando ho sentito parlare dell'accordo per la tregua, ero felice e triste allo stesso tempo: non posso dimenticare mia moglie e i miei figli, mia madre e le mie sorelle che non sono sopravvissute a questa guerra sanguinosa", dice all'ANSA Ahmad Abed Almoeti, 32 anni, gravemente ferito un anno fa in un attacco aereo: la moglie e i due figli sono rimasti uccisi, lui colpito alla schiena non è più in grado di camminare. Dopo molte operazioni, il ministero della Salute di Gaza è riuscito a mandarlo in Egitto per continuare le cure. "Mi resta da pensare che almeno molte persone sopravvivranno se questa tregua reggerà. Non vedo l'ora di rivedere il resto della mia famiglia e dei miei amici", spiega Ahmad. Secondo lui,

Le voci

"Gaza ha pagato un prezzo incalcolabile per liberare poche centinaia di ostaggi. Decine di migliaia di persone sono morte e molte altre sono sotto le macerie: l'accordo sui rapiti non vale questo prezzo". "Ho perso la speranza di vedere la fine di questa guerra, non sono ancora sicura di sopravvivere senza essere ferita. Ora è troppo presto per essere felici: siamo stati in questa situazione molte volte e siamo rimasti troppo delusi", sostiene invece Majd Ramadan, 34 anni e madre di due figli, che per sfuggire al conflitto ha lasciato la sua casa nel nord di Gaza 14 mesi fa con il marito e i bambini, ha raggiunto la sua famiglia a Nuseirat, per poi essere sfollata cinque volte verso sud, a Rafah, e poi di nuovo nel centro della Striscia. Sarebbero bastati anche solo tutti gli spostamenti a fiaccare Majd, a instillarle sconforto e sfiducia. Oltre alla mancanza di cibo, ai bombardamenti, morti, macerie, paura, anche l'incertezza costante, con le trattative fallite più e più volte. Ora, per Majd e la sua famiglia, il desiderio più intenso è non parlare più di vittime tutti i giorni, sentirsi al sicuro. E poi vedere se la loro casa nel nord della Striscia esiste ancora, se ci si può abitare, o se invece è distrutta e bisogna ricostruire tutto. "In alcuni momenti ho pensato di lasciare Gaza se il confine fosse stato riaperto, ma ora voglio tornare nel mio vecchio quartiere, riavere la mia casa - racconta -. Le persone nel nord devono pensare al giorno dopo la guerra: chi governerà Gaza, come la gente affronterà le proprie perdite e come trattare i nostri figli e noi stessi dopo questo trauma".


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Si può tornare a parlare di pace e speranza

Mustafa ricorda di essere uscito da Gaza il 17 aprile 2024: "Da allora non ho visto mia madre e i miei fratelli, pensavo di non rivedere mai più la mia famiglia e i miei amici. Ho fatto di tutto per andare in Egitto, perché a Gaza ho perso tutto, non c'è più traccia della mia casa, e ci vorranno anni di ricostruzione per rendere di nuovo abitabile il nord". Ora, dopo tante telefonate con amici e familiari, racconta che qualcosa lo spinge a tornare: "Voglio vedere mia madre. Lei ha detto che vuole mettere una tenda sopra le macerie della nostra casa e vivere lì fino alla fine della sua vita". "Mia sorella maggiore con la sua famiglia è ancora a Gaza City, non la vedo da 15 mesi. È sopravvissuta a tanti attacchi, suo figlio ha perso la moglie e sua figlia è stata ferita alla testa. Ora hanno la speranza di sopravvivere agli ultimi giorni di guerra".

Mustafa riferisce poi che la famiglia con cui ha trascorso cinque mesi, sfollata 5 volte durante la guerra, è molto felice per l'accordo: "La loro casa a Khan Yunis è ancora in piedi dopo tanti attacchi intorno, parzialmente danneggiata, ma sicuramente meglio di una tenda". La famiglia intanto ha iniziato a organizzare rifornimenti di acqua e cibo nel caso dovessero tornare a casa. "Il padre Yaqoub e la madre Maisara erano convinti di lasciare la Striscia se il valico di Rafah fosse stato riaperto, ma oggi hanno cambiato idea e sono pronti a rimanere a Gaza, anche se è molto difficile per loro che sono anziani", racconta ancora Mustafa. "Maisara ha pianto quando ha ricevuto la notizia che i colloqui per una vera tregua erano vicini a una soluzione. Ancora non crede che questo incubo stia per finire. Tutti parlano di tornare a casa, anche se è distrutta".