Primo sì in Parlamento, ma i partiti e la società si spaccano
Il Regno Unito apre le porte all'eutanasia, raccogliendo in Parlamento le istanze di una società che cambia, sempre più secolare, ma non senza esitazioni, dubbi di coscienza, spaccature che attraversano le piazze e tutti i partiti. La proposta di una legge ad hoc per legalizzare "il diritto dei malati terminali alla morte assistita" ha superato oggi il primo scoglio alla Camera dei Comuni, in forza di una maggioranza trasversale segnata dai sì di 330 deputati contro 275 no: risultato che rovescia i numeri di un'iniziativa simile bocciata a Westminster meno di 10 anni orsono, nel 2015.
La norma, denominata Terminally Ill Adults (End of Life) Bill, prevede la possibilità di chiedere di mettere fine alla propria esistenza - con il consenso e l'assistenza dei medici - a qualunque paziente dai 18 anni in su che abbia una diagnosi di aspettativa di vita di non oltre sei mesi. Il governo di Keir Starmer, che contava ministri favorevoli e altri contrari, ha lasciato libertà di voto all'attuale maggioranza laburista su "una questione di coscienza"; sebbene a promuovere il progetto sia stata una deputata del Labour come Kim Leadbeater, sorella di Jo Cox, parlamentare uccisa nel 2016.
Nell'introdurre il dibattito, Leadbeater ha rivendicato l'obiettivo di approvare una riforma "necessaria da tempo" per garantire "una morte compassionevole" a chi la chiede, non senza citare vicende personali di dolorose agonie di pazienti afflitti da forme aggressive di cancro o da altre malattie. E dopo il voto ha aggiunto: "Sono incredibilmente orgogliosa: penso che oggi abbiamo visto il Parlamento nella sua dimensione migliore".
La discussione, durata 5 ore in un'aula affollata, è stata in effetti sofferta e accorata. Con interventi di segno opposto dai banchi di ciascun gruppo, richiami a dilemmi etici e a scelte di fede, racconti privati di drammi di familiari o elettori a sostegno delle ragioni del sì o del no. Fra i contestatori, tanto Edward Leigh, veterano Tory, quanto la laburista di sinistra Diane Abbott, Mother of the House in veste di deputata donna di più lungo corso, hanno denunciato il rischio che il testo - così come concepito - possa non assicurare "salvaguardie" sufficienti contro il timore di "coercizione" o condizionamento di malati gravi da parte del sistema sanitario.
Alla fine fra i sì vi sono stati sia quello di Starmer, sia quello dell'ex premier conservatore Rishi Sunak, mentre hanno votato contro la attuale leader dell'opposizione Tory, Kemi Badenoch, il tribuno della Brexit, Nigel Farage, come pure l'europeista liberaldemocratico Ed Davey e personalità di spicco di correnti diverse del Labour, dalla Abbot a dame Meg Hillier. In un contesto che comunque - dato il peso e la diffusione dei no - suggerisce da più parti la possibilità almeno di qualche emendamento correttivo nel corso di un iter parlamentare destinato a durare ancora vari mesi.
Intanto, fuori dal palazzo, sentimenti antitetici hanno attraversato la piazza: fra il sollievo e gli abbracci delle decine di sostenitori della legge radunatisi con le loro magliette rosa e con cartelli dove si poteva leggere: "My life my death my choice"; e lo sconforto degli oppositori, incluse alcune infermiere specializzate nelle cure palliative, sui cui poster era invece scritto: "Don't ask doctors to be killers".
Contrarietà era stata espressa del resto nei giorni scorsi da rappresentanti delle maggiori confessioni religiose del Regno (cristiani, ebrei, musulmani, indù), nel timore di una svolta verso la "cultura del suicidio". Mentre i promotori insistevano sulla "libertà di scelta", assicurando tutele e cautele non senza ricordare le norme analoghe di altri Paesi europei e l'impennata dei britannici favorevoli testimoniata da alcuni sondaggi sotto la spinta d'incessanti campagne pubbliche animate da attivisti, associazioni e figure note come Esther Rantzen: un'ex giornalista tv 84enne, alle prese con un tumore all'ultimo stadio, che ora spera di vedere la legge in vigore prima dell'addio.