Il ‘Wall Street Journal’: l’ordine esecutivo per l’uscita degli Usa dall’Accordo di Parigi sarà firmato già il 20 gennaio
Donald Trump non ci sarà alla Cop29 di Baku, la conferenza annuale dell’Onu sul clima, che si apre lunedì in Azerbaigian, fino al 22 novembre. Ma il presidente eletto americano sarà il convitato di pietra dell’appuntamento, quello che ha il potere di far fallire la festa. The Donald ha detto in campagna elettorale che, se eletto, porterà di nuovo fuori gli Stati Uniti dall’Accordo di Parigi sul clima, come aveva fatto durante il suo primo mandato. Domenica è giunta una prima conferma. Trump firmerà un ordine esecutivo in questo senso il 20 gennaio, nel primo giorno del suo insediamento. La bozza è già pronta, hanno confermato suoi consiglieri al ‘Wall Street Journal’.
L’Accordo di Parigi è la colonna portante sulla quale si sono basate le politiche climatiche degli ultimi nove anni. Siglato nella capitale francese il 12 dicembre 2015 dai 197 Stati membri della Convenzione quadro delle Nazioni Unite sui cambiamenti climatici (Unfccc), consta di 29 articoli e prevede l’impegno formale a contenere a lungo termine l’aumento della temperatura media globale ben al di sotto della soglia di 2 grandi centigradi oltre i livelli pre-industriali, e di limitare tale incremento a 1,5 gradi centigradi. In base all’accordo i paesi devono presentare dei piani per raggiungere questo obiettivo e aggiornarli ogni cinque anni.
Il disimpegno statunitense verosimilmente non si fermerà qui. Trump ha minacciato di uscire del tutto anche dalla stessa Unfccc, che organizza le Cop. Vorrebbe dire che gli Usa non parteciperebbero neppure ai negoziati per definire le politiche mondiali sul clima. Semplicemente, li ignorerebbero, e farebbero quello che vogliono. E quello che vuole Trump, lo ha detto chiaramente in campagna elettorale: “Drill, drill, drill”, ovvero trivella a più non posso, petrolio e gas. Fonti fossili che danno agli Usa l’autosufficienza energetica, e lo rendono pure paese esportatore. Ma che aumentano anche l’effetto serra e le sue conseguenze, come abbiamo visto a Valencia.
Il segretario generale dell’Onu Antonio Guterres, famoso per le sue metafore ardite, alludendo a Trump ha detto: “L’accordo di Parigi può sopravvivere, ma a volte le persone possono perdere organi importanti, o perdere le gambe e sopravvivere. Non vogliamo un accordo di Parigi paralizzato”. L’inviato speciale italiano per il clima, Francesco Corvaro, in una intervista è stato meno alato: “Senza gli Usa non si va da nessuna parte. Le Cop si possono fare ugualmente, per carità, ma tutto sarà in pausa”.
Quest’anno a Baku il tema principale sarà la finanza climatica, ovvero il nuovo strumento per gli aiuti ai paesi vulnerabili: dal 2026 dovrà prendere il posto del fondo da 100 miliardi di dollari all’anno istituito con l’Accordo di Parigi. Un fondo che solo nel 2022 ha raggiunto questa cifra. Il negoziato si preannuncia difficile. I paesi vulnerabili vogliono più soldi possibile e la massima libertà di usarli, i donatori stringono i cordoni della borsa, e vogliono regole chiare e controlli serrati sull'uso dei loro denari.
A Baku non ci sarà il presidente uscente Biden, e non ci saranno neppure tanti leader mondiali, da Xi a Modi a von der Leyen a Macron a Putin a Lula. Se Trump dovesse fare qualche annuncio pesante sulle politiche climatiche nei giorni della conferenza, la Cop potrebbe fare una brutta fine. Le potenze petrolifere che hanno sempre mal digerito gli impegni di decarbonizzazione, dall’Arabia Saudita alla Russia, e le potenze industriali emergenti che vanno ancora a carbone, come Cina e India, potrebbero approfittare del disimpegno americano per tirarsi indietro anche loro. E a quel punto, le politiche mondiali per il clima finirebbero su di un binario morto.