Il tycoon mandato subito in confusione già alla stretta di mano si perde in sproloqui. Harris ha dimostrato durante il dibattito di meritare la sua chance
È bastata una stretta di mano, prima ancora che i due contendenti dicessero una sola parola, a far inclinare il piano dell’intero dibattito verso Kamala Harris. Che ha vinto – per quel che vale oggi – la prima sfida dialettica con un Donald Trump a disagio, nervoso, ripetitivo, sfuggente e apparso improvvisamente invecchiato dopo aver avuto gioco facile – nel dibattito del giugno scorso – a ricoprire il ruolo del più brillante contro uno spento Joe Biden, il presidente in carica e ormai fu candidato dei democratici, che Trump – pro domo sua – ha provato a resuscitare ieri tirandolo in ballo per sentirsi rispondere freddamente da Harris: “Io non sono Biden”. A quel punto, Trump era già stato ripreso più volte dai due moderatori di Abc Linsey Davis e David Muir, accusati alla fine di partigianeria dall’ex presidente.
La stretta di mano, quindi. Una mossa di Harris che ha colto di sorpresa Trump, rivelandone la ruggine. Mentre i due entravano nell’inquadratura, la candidata democratica ha superato la linea immaginaria che divideva i due podi e si è avviata con passo sicuro e mano tesa verso il rivale per salutarlo. Trump si è quasi ritratto, fermandosi come un pedone distratto che si ritrova davanti a un semaforo rosso. Poi – a quel punto inevitabilmente – ha stretto la mano di Harris, finendo subito in uno stato di subalternità da cui non è più uscito.
Per gli appassionati di smargiassate politiche pre-elettorali, la mossa di Harris ha ricordato la spolverata sulla sedia di Marco Travaglio da parte di Silvio Berlusconi il giorno in cui il Cavaliere andò nella tana del lupo (anzi, dei lupi, l’altro era Michele Santoro) a cucinarsi il lupo a fuoco lento: Travaglio – che era solito in quella trasmissione, “Servizio pubblico”, attaccare senza sosta il Cavaliere - quel giorno, dopo la spolverata, si rivelò docile, inefficace e inoffensivo per tutta la messa in onda.
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La stretta di mano
Così è accaduto ieri. Harris, che non ha l’eloquio di Obama né l’innata comunicatività di Clinton, doveva inventarsi qualcosa per darsi coraggio e sentirsi all’altezza di una prova che non aveva mai affrontato. A volte basta poco. Come pochi (e confusi) sono stati i contenuti, in un format che ormai non prevede veri approfondimenti sui programmi, ma scaramucce incrociate e tentativi di eliminare ogni sfumatura e dividere il mondo, in questo caso l’America, in buoni e cattivi. Va detto che Harris l’ha fatto in modo meno elementare e più ordinato, cercando, almeno su alcuni temi, in primis l’aborto, a uscire dalla dinamica dello slogan ripetuto all’infinito.
Proprio sull’aborto Trump è scivolato su una buccia di banana che si è messo sotto i piedi da solo, sostenendo che i democratici vogliono “consentire l’aborto anche al nono mese di gravidanza”, arrivando a dire che si arriverà a uccidere anche bambini già nati. Assurdità che ha fatto intervenire i moderatori, che hanno detto chiaro e tondo “questa cosa non è vera”. Trump se n’è infischiato del richiamo, ma alla fine è stato messo alle strette proprio da Harris, che ha ricordato le sue posizioni ondivaghe sul tema, coccolando gli antiabortisti duri e puri senza mai schierarsi apertamente con loro. Trump ne è uscito ancora una volta con un equilibrismo, sostenendo che non vuole una legge federale in proposito (e quindi un veto all’aborto dall’alto), ma che ogni Stato dovrebbe decidere per sé. Su questo Harris è stata irremovibile, dicendo: “Il governo, e soprattutto Trump, non dovrebbero dire a un donna cosa fare del suo corpo”.
Altro momento tragicomico del dibattito è stato quello in cui Trump ha parlato di migranti haitiani “sorpresi a mangiare cani e gatti, animali domestici” degli abitanti di Springfield, in Ohio. Stesso nome della città fittizia dei Simpson, ad aggiungere - se possibile - ancora più assurdità a una notizia che - semplicemente - non è mai esistita, come gli ha fatto notare in diretta David Muir, spiegando che le autorità locali hanno negato i fatti, ingigantiti - in stile telefono senza fili - dopo un post su Facebook di una donna che riferiva dei “sentito dire”. Ad aggiungere errore a errore, nel post – già farlocco di suo – si parlava di “ducks and cats” e quindi papere e gatti, non “dogs and cats” (cani e gatti).
La filastrocca sui migranti e sul loro aumento (certificato dai numeri) durante il quadriennio di Biden, Trump l’ha cantata per tutti e i 90 minuti del dibattito (tirando fuori altre frasi a effetto al limite del nonsense come “Presto saremo come il Venezuela e prenderemo steroidi” o “Ci sono 168 Paesi che si stanno mandando i loro criminali”, con quella sottile perizia nel dire un numero esatto per renderlo più credibile, nonostante sia incredibile).
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Trump si innervosisce
C’è da dire, però, che proprio sui migranti Harris si è giocata la carta Trump, mischiando il mazzo finché non è riuscita a cambiare discorso. Anche per questo, l’ex presidente l’ha incalzata ogni volta, anche quando gli hanno chiesto dei fatti di Capitol Hill del 6 gennaio 2021. Davanti alla richiesta dei moderatori di spiegare il suo ruolo in quell’atto antidemocratico, l’ex presidente prima si è messo ad accusare Harris sui migranti, poi ha iniziato capriole dialettiche da vaudeville da postribolo, negando numeri e fatti incontestabili, ripresi: per Trump a gestire male quella giornata fu l’ex speaker della Camera Nancy Pelosi, e non certo lui, che quelle elezioni le aveva vinte (“Nessun presidente ha mai preso più voti di me. È stata una frode”).
Ossessionato dall’approvazione altrui ha elencato successi reali, gonfiati o inesistenti su gestione del Covid, economia, lavoro e pace nel mondo, dicendo, letteralmente cose come “sono stato applaudito per questo”, o “nessuno mi ha fatto un applauso per questo”. Sembra la recita delle medie più che un dibattito per andare alla Casa Bianca.
E mentre Harris ha risposto alle panzane dell’ex presidente con facce da maestra abituata alle baggianate dell’asino della classe (“Ho già detto che avremmo ascoltato un sacco di bugie, ed eccoci qua”, ha detto sfinita, a metà dibattito), Trump, che si è trattenuto da fare le sue smorfie plateali per due terzi della contesa, alla fine non ha resistito più. al terzo intervento dei moderatori per segnalare la falsità delle sue affermazioni ha ricominciato col vittimismo, come se alcune parti di sé e del suo carattere non si possano nascondere e tenere a bada nemmeno per un’ora e mezza di diretta e debbano emergere sempre e comunque. Tira fuori i transgender dal nulla, solo per associare una parola invisa a buona parte del mondo conservatore a Harris, che nemmeno capisce il contesto, anche perché il contesto, quando parla Trump, non c’è. Per ricordare a tutti la sua rilevanza diplomatica cita una frase dell’ungherese Orbán, che in America conosceranno in pochi, ma è quel che è: “Orbán dice che io facevo paura alla Cina e alla Corea del Nord”, e anche a Putin. Poi prova a correggere il tiro, ma s’ingarbuglia ancora arrivando quasi a incolpare Harris per la guerra in Ucraina e poi chiamando a sé altri applausi che in quello studio nessuno può fare. Lei non si scompone e gli risponde: ‘A te Putin ti si mangia’.
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Harris durante il dibattito
Trump è talmente nervoso da non accorgersi che Harris sarebbe attaccabile se portata a discutere i dettagli delle sue azioni e delle sue proposte future, dettagli che non ci sono. Ma a lui i dettagli non sono mai interessati, troppo preso dalle dimensioni di tutto: di quel che dice, di quel che fa, di quel che è.
Ad Harris basta infine snocciolare qualche numero semplice semplice sugli aiuti alle famiglie e alle piccole imprese per almeno far credere di aver fatto i compiti. Lui si perde mischiando il gender con l’Afghanistan, il marxismo (“Lei è marxista e suo padre lo insegnava il marxismo!”) e il Medio Oriente (“Lei odia Israele!). Finisce com’era iniziata: lei fresca, lui sfinito. Lei a chiedere un secondo dibattito (che forse non ci sarà) e lui a recriminare, evocando l’imboscata mediatica.
I sondaggi post-diretta, con numeri molto diversi, premiano la performance di Harris (per la Cnn 63% a 37%, per Yougov 34% a 28% con molti indecisi). E a spaventare Trump dovrebbe esserci anche il mini-sondaggio fra 25 elettori degli Stati in bilico del New York Times, che premia per 23 a 2 la sua sfidante. Ma sono tutti numeri fragili, legati a un oggi che in fondo è già ieri. Domani chissà. Resta l’impressione di un dibattito ormai ridotto a format tv che lì nasce e muore senza grosse conseguenze sull’elettorato reale. Però la popstar Taylor Swift, la persona più influente d’America, subito dopo il fischio finale, si è schierata con Harris. Pare che lei i voti li possa spostare, eccome.