Il presidente statunitense in bilico. Il ‘New York Times’: sta valutando il ritiro. La Casa Bianca smentisce. Si allarga il divario con Trump nei sondaggi
Joe Biden appare sempre più in bilico. E la sua vice Kamala Harris sempre più vicina ad ereditarne il testimone. Il ‘New York Times’ ha rivelato che il presidente ha confidato a un alleato chiave che sta valutando se continuare la corsa e di essere consapevole che potrebbe non essere in grado di salvare la sua candidatura se nei prossimi giorni non riuscirà a convincere l'opinione pubblica che è all'altezza dell'incarico, dopo la debacle del dibattito tv con Donald Trump.
Flop che ha tentato di spiegare col jet leg dei fitti viaggi tra Europa e America, tanto da ammettere che si era "quasi addormentato sul palco". Decisivi saranno gli eventi di questo lungo weekend per la festa del 4 luglio, con un'intervista venerdì a George Stephanopoulos di Abc e altri comizi in due Stati ‘battleground’ come la Pennsylvania e il Wisconsin.
È la prima ammissione sul fatto che il presidente stia valutando l'eventuale ritiro, anche se la Casa Bianca ha smentito l'articolo come "assolutamente falso", lamentandosi per il poco tempo concesso dal Nyt per un commento preventivo.
"Biden non sta assolutamente pensando di ritirarsi", ha rincarato poi la portavoce Karine Jean-Pierre, che nei briefing è presa d'assalto dai reporter sulle condizioni di salute del presidente. Il presidente e Kamala Harris hanno invece preso parte ad una conference call con la Democratic National Committee e hanno assicurato che "continueranno a combattere": "Corro fino alla fine. Sono il presidente del partito democratico. Nessuno mi sta spingendo fuori. Sono stato messo fuori combattimento ma quando si viene buttati giù ci si rialza", ha detto Biden.
Ma anche un altro alleato del leader dem ha riferito alla Cnn che il presidente privatamente ha riconosciuto che i prossimi giorni saranno cruciali per decidere il suo futuro.
Indizi che il commander in chief non è più così sicuro di poter chiudere le crescenti crepe che si stanno aprendo nel partito. Con i primi sondaggi post dibattito che segnalano un ulteriore perdita di terreno sul tycoon: secondo una rilevazione dei New York Times, l'ex presidente ha il 49% contro il 43% del rivale, con un balzo di tre punti.
I parlamentari dem sono preoccupati di perdere anche Camera e Senato, e di non avere alcuna leva per contrastare l'eventuale vittoria del tycoon. Dopo che uno di loro, il deputato texano Lloyd Doggett, è uscito allo scoperto per primo chiedendo a Biden di lasciare, ora almeno altri 25 congressman sono pronti a fare la stessa cosa, forse con una lettera.
Perfino Barack Obama, finora rimasto al fianco del suo ex vice, ha ammesso che la strada già difficile di Biden per conquistare la rielezione è divenuta ancora più impegnativa dopo il flop al dibattito. E parlare della sua salute non è più un tabù, come ha decretato l'ex speaker della Camera Nancy Pelosi.
Il presidente tenta di arginare dubbi e timori ricevendo alla Casa Bianca i governatori dem e i leader del Congresso, che si sono sentiti ignorati dalla Casa Bianca in tutti questi giorni di bufera. Alcuni governatori sono sul piede di guerra, altri restano "al fianco di Biden", come Gavin Newsom, uno dei suoi principali surrogati in campagna elettorale ma anche uno dei potenziali sostituti.
I leader di Camera e Senato, dal canto loro, lasciano liberi i parlamentari di prendere posizione sulla candidatura del presidente e raccolgono molti malumori. Anche i donatori sono esasperati (nella call di lunedì Biden non c'era). Molti dem inoltre sono sconcertati dal fatto che Biden si sia affidato ai consigli di suo figlio Hunter, condannato per un'arma illegale, piuttosto che ai massimi leader del partito.
Sono due i principali scenari nel caso Joe Biden decida di ritirarsi dalla corsa. Il primo è che il presidente dia l'endorsement e passi il testimone - in una pacifica transizione di potere - alla sua vice Kamala Harris, che nei sondaggi è più impopolare di lui ma che appare solo 1-2 punti indietro (quindi nel margine di errore) in un ipotetico duello contro Donald Trump. Si tratta della scelta più ovvia e inevitabile, essendo Harris la sua erede naturale, anche in caso di morte o malattia durante la presidenza.
Che si tratti della prima scelta lo confermano privatamente varie fonti della campagna di Biden e anche molti donatori che, pur non essendo entusiasti, ammettono come sia "impossibile ignorarla". Poi è vero che non è mai uscita dall'ombra di Biden, che non ha mai bucato lo schermo, ma è altrettanto vero che sta recuperando terreno e immagine su alcuni temi, come quello chiave dell'aborto. Inoltre potrebbe vantare il fattore età (59 anni) e la prospettiva di diventare la prima presidente donna e di colore, dopo aver toccato questo soffitto di cristallo come vicepresidente.
Tra le possibili alternative Harris è anche la figura più nota, sia nel Paese che a livello internazionale, e potrebbe accedere subito ai fondi della campagna di Biden, oltre a ereditare l'infrastruttura della sua campagna. Per lanciarla, il presidente dovrebbe però prima garantirsi l'appoggio di tutto il partito, proponendo quindi durante la convention di Chicago ai 3’894 delegati ottenuti nelle primarie di votare per lei. In tal caso poi si porrebbe il problema di scegliere il suo vice.
Se ci fossero invece forti e aperti contrasti su una candidatura Harris, si rischia lo scenario di una convention ‘brokered’, ossia aperta, dove - oltre alla vicepresidente - si sfidano vari candidati. Tra i papabili i governatori della California Gavin Newsom, del Michigan Gretchen Whitmer e della Pennsylvania Josh Shapiro, nonché il segretario ai Trasporti Pete Buttigieg. Dovrebbero contendersi la maggioranza dei voti dei delegati di Biden e, se nessuno passasse al primo turno, entrerebbero in gioco i 700 super delegati, ossia dirigenti ed eletti del partito. Si rischiano caos e divisioni intestine per investire un candidato spuntato dal nulla e non selezionato dalle primarie, in un processo sicuramente meno trasparente e meno democratico. Ma forse nessuno dei papabili vuole rischiare una corsa in salita bruciando le proprie chance per il 2028.
Resta in ogni caso un'incognita che rischia di anticipare i tempi della nomination rispetto alla convention che inizia il 19 agosto: il partito aveva in programma di fare una ‘roll call’ virtuale prima del 7 agosto per rispettare la scadenza elettorale in Ohio e certificare il candidato in modo che appaia sulle schede. Per cambiare cavallo quindi c‘è poco più di un mese.
Kamala Harris è pronta a spiccare il volo e sostituire, se necessario, Joe Biden nella corsa alla Casa Bianca. Sebbene al momento più impopolare del suo capo, la vicepresidente è considerata la figura migliore a raccoglierne l'eredità, colei che creerebbe meno spaccature in un Partito democratico già lacerato e scosso dalle continue défaillance del presidente. Dopo essere stata indicata come ’l'Obama donna‘, prima vicepresidente afroamericana della storia, Kamala Harris si prepara silenziosamente a infrangere nuovi soffitti di cristallo e coronare il sogno di diventare la prima presidente donna e la prima afroamericana a guidare gli Stati Uniti.
Con lei arriverebbe a Pennsylvania 1600 una famiglia rivoluzionaria, contraltare moderno a quella più tradizionale di Joe e Jill Biden. Colta e trascinatrice di folle fino a qualche tempo fa, Kamala non ha brillato nei panni di vice, deludendo probabilmente chi si aspettava molto di più da lei. Ex procuratrice di San Francisco prima e della California poi (Barack Obama la definì goffamente "la più bella procuratrice del Paese", per poi scusarsi), nel 2016 Harris ha conquistato un seggio in Senato e subito dichiarato guerra a Donald Trump.
Keystone
Finora non ha brillato nei panni di vicepresidente
Lì il suo prestigio e la sua statura politica si sono rafforzati: i suoi interrogatori all'ex ministro della Giustizia Jeff Sessions sono diventati virali e l'hanno accreditata davanti al pubblico democratico a caccia di volti nuovi per il partito. Da qui la decisione di provare a correre per la Casa Bianca: un tentativo che non ha avuto successo anche se si era imposta come una delle rivali più agguerrite di Biden nel corso delle primarie. È rimasto negli annali l'aspro confronto fra i due nel corso di uno dei dibattiti, durante il quale Harris rinfacciò al suo futuro capo di essersi compiaciuto della collaborazione con due senatori segregazionisti negli anni ’70.
Non contenta, Kamala continuò raccontando di conoscere una ragazzina nera che per fortuna ebbe la possibilità di andare in una scuola migliore grazie al servizio di scuolabus istituito per le minoranze che vivevano nei quartieri più disagiati, servizio al quale - ricordò - il senatore Biden si era opposto: "Quella ragazzina ero io".
Collezionista di sneaker Converse, Harris si sveglia di solito alle 6 del mattino e si allena per mezz'ora. Il suo motto è un monito che la madre le rivolgeva quando era ragazzina: ‘Potrai essere la prima, ma assicurati di non essere l'ultima’. Da allora Harris di tabù ne ha infranti molti, aprendo la strada e diventando un modello per molte donne. Ora, forse, l'occasione della vita.