Crocevia del Mediterraneo, con i migranti realtà costante ma invisibile, vive di turismo, ma alcuni ne denunciano la militarizzazione per creare paura
Lampedusa – “Può fare una foto al molo Favarolo se vuole, ma solo se non è una giornalista. I giornalisti danno una brutta immagine di Lampedusa”, lancia il barcarolo intento a imbarcare turisti. Sporgendo la testa, si scorge una motovedetta della Guardia di finanza attraccata al molo più famoso del mondo dove, mare permettendo, sbarcano tutti i giorni decine, se non centinaia di migranti salvati in mare. Se non fosse per i relitti di due barconi arenati, niente lascerebbe intuire la tragedia di Lampedusa, avamposto europeo nel Mediterraneo, più vicina alla Tunisia che alla Sicilia.
Secondo i dati del Ministero dell’interno, gli sbarchi sono diminuiti del 60% rispetto all’anno scorso: 21’574 persone dall’inizio dell’anno, contro 51’628 nel 2023. “Da gennaio il tempo è stato brutto anche qui. Per la nostra esperienza i flussi di arrivi sono influenzati dalle condizioni meteomarine e bisognerà vedere cosa succederà con l’arrivo dell’estate, quando il tempo migliorerà. Inoltre, un ulteriore fattore condiziona i flussi: le condizioni geopolitiche dei Paesi di provenienza e di transito”, commenta il coordinatore dell’ufficio dell’Alto commissariato Onu per i rifugiati sull’isola. Un’osservazione largamente condivisa dalle persone incontrate. “Il patto stretto con la Tunisia per controllare le frontiere cambia poco o niente. I fondi erano stati dati anche l’anno scorso e gli sbarchi ci sono stati lo stesso (158mila persone, di cui 112mila a Lampedusa, ndr). È probabile che dopo le elezioni europee la Tunisia allenti il controllo”, sottolineano altri osservatori.
Appena arrivati, i migranti vengono portati al centro della Croce Rossa italiana situato a Contrada Imbriacola, poco fuori dal paese, che ha una capienza massima di 640 posti. Qui rimangono 24 ore. Il tempo di eseguire gli accertamenti medici e di svolgere le prassi giuridiche, poi vengono trasferiti a Porto Empedocle o ad Agrigento. Impossibile entrare nell’hotspot custodito da un imponente dispositivo di sicurezza, né tantomeno parlare con gli “ospiti” che si intravedono dietro le reti, ma gli operatori umanitari ci assicurano che in questo momento non è affollato.
Agazzi
Mimmo Palladino, Porta d’Europa
“Dicono che i migranti non si vedono? Se uno vuole, li vede”, sbotta Giacomo Sferlazzo, un cinquantenne con l’aria da pirata, isolano verace e proprietario di Porto M, un locale ricavato in un deposito di pescatori che si affaccia sul porto, proprio di fronte al molo Favarolo. Qui ha sede Figli di Abele, una delle poche associazioni locali, che si occupa di questioni politiche relative alla migrazione e di recupero della memoria. Ha allestito un’esposizione di oggetti appartenenti ai migranti – portafogli, foto, telefonini – recuperati alla discarica delle barche. In un’atmosfera accogliente e multiculturale, propone spettacoli sulla storia di Lampedusa, l’opera dei pupi, musica siciliana, degustazioni di vini locali ed esibizioni di cantastorie.
“Il primo sbarco ufficiale risale al 1992, ci spiega il militante. Era la conseguenza della legge Martelli, varata dall’Italia per entrare nello spazio Schengen: libertà di movimento all’interno delle frontiere, chiusura all’esterno. Ha introdotto la politica dei visti, prima bastava un passaporto valido per entrare in Italia. È un meccanismo fatto per creare clandestinità. I tunisini che prendevano aerei e navi di linea non l’hanno potuto più fare”. Precisa: “Noi militiamo affinché le cause che spingono le persone a partire – guerre, ingiustizie, povertà – vengano rimosse e creati canali di ingresso regolari. Non siamo “no border”, non vogliamo frontiere aperte a tutti i costi, ma pari diritti per tutti”.
L’immigrazione è onnipresente nella vita dei 6’000 abitanti dell’isola. “La nostra casa è il mondo, nessuno ci dividerà, pace sarà e il mondo un po’ bambino tornerà”, cantano gli alunni delle Elementari, alla recita di fine anno sullo spiazzale davanti al mare. “Lampedusa è un’isola di pace”, continuano, mimando un barcone di migranti in fuga da Gaza, approdato su una spiaggia piena di turisti. Il tema è quello dell’accoglienza dei popoli che scappano dalla guerra e lo spettacolo si conclude a suon di ‘Casa mia’, la celebre canzone di Ghali.
“Qui non c’è razzismo, rincara un’isolana incontrata al cimitero, mostrandoci lo spazio dedicato ai migranti deceduti in mare, coperto di croci di legno bianche. Nel 2011, dopo la primavera araba, sono arrivate 10’000 persone, le abbiamo aiutate, dato scarpe, coperte e giocattoli per i bambini”. Un’affermazione da relativizzare. “Lampedusa è lo specchio dell’Italia, alcuni sono benevoli verso i migranti, altri no, non bisogna idealizzare”, commenta Peppe, un maestro d’ascia di una settantina d’anni che ha costruito navi di legno per tutta la vita.
Da sempre, il Mediterraneo è un punto di incontro e di scontro fra civiltà e religioni. I legami con Malta, la Libia, la Tunisia e l’Algeria impregnano la storia di Lampedusa, per lungo tempo covo di pirati – cristiani e musulmani che pregavano la Madonna di Lampedusa tutti insieme, si dice. Poi l’Italia unificata vi ha mandato in esilio oppositori e anarchici. La pesca delle spugne, pagate in oro e vendute fino a Sfax, in Tunisia, ha portato un po’ di benessere. Fiorente per più di 40 anni, è stata stroncata dall’apparizione delle prime spugne sintetiche, agli inizi del 1900, per essere sostituita dalla pesca del pesce azzurro.
Agazzi
Giacomo Sferlazzo
Per Giacomo Sferlazzo, la svolta è avvenuta con la costruzione dell’aeroporto nel 1968, che ha aperto la porta alla militarizzazione dell’isola. Nel 1972 viene costruita una base Nato dotata di un’antenna di 190 metri per il controllo strategico del Mediterraneo. E spuntano i primi grandi alberghi. Ma è Gheddafi che, senza volerlo, mette Lampedusa sulle carte geografiche. Nel 1986 gli Stati Uniti bombardano la Libia e il colonnello lancia due missili Scud sulla base di Loran, finiti in mare.
Da allora i turisti cominciano ad affluire e ogni anno ce ne sono sempre di più, anche se il numero rimane contenuto. Percorrono le strade spesso sterrate di questo fazzoletto di 20 chilometri quadrati, brullo e battuto dal sole e dal vento, per tuffarsi in calette di un mare azzurro smeraldo. La più famosa è l’isola dei Conigli, eletta spiaggia più bella d’Italia, dove gli ingressi sono limitati d’estate per proteggere i nidi delle tartarughe. All’altra estremità dell’isola, la Porta d’Europa si apre sui flutti impetuosi, in memoria dei migranti deceduti in mare. Solo qualche raro relitto di barca arenata sulla spiaggia testimonia di drammi che non si placano. Nessuno ci fa caso.
“A Lampedusa non si nasce dagli anni 1970, quando erano consentiti i parti in casa con le levatrici. Non c’è un ospedale. Le donne devono andare a partorire in Sicilia, il che implica notevoli spese”, deplora Maldusa, un’associazione culturale impegnata a favore della libertà di movimento.
Oltre alla presenza degli operatori umanitari, colpisce il numero impressionante delle forze dell’ordine – Guardia di finanza, esercito, polizia, carabinieri –. “Siamo preoccupati dalla militarizzazione dell’isola, conclude Giacomo Sferlazzo. Lampedusa è uno dei luoghi cardine, uno dei centri fondamentali, con la Sicilia, della Nato nel Mediterraneo. È comoda perché è un’isola. Vi si può creare un sentimento di emergenza e istillare la paura”.