Affondo di Biden all’alleato israeliano durante un’intervista al Time. Hamas: niente accordo senza la fine della guerra
Alla vigilia di un lungo viaggio in Europa durante il quale dovrà confrontarsi con gli alleati e le loro diverse posizioni sulla guerra a Gaza, Joe Biden dà una spallata all'amico Bibi. Dopo aver reso pubblico il piano israeliano per un cessate il fuoco per far pressione non solo su Hamas ma anche su Israele, come sostengono molti analisti, il presidente americano per la prima volta ha ammesso che ci sono ragioni di ritenere che Netanyahu stia prolungando il conflitto per la sua sopravvivenza politica. Non lo dichiara apertamente ma in una lunga intervista a Time il commander-in-chief ha risposto che gli oppositori del premier non hanno tutti i torti a ritenere che egli stia cercando di mantenere il potere attraverso la guerra. "Non voglio commentare – ha detto Biden – ma ci sono tutti gli elementi per trarre questa conclusione".
Una dichiarazione inedita e forte, poi parzialmente ammorbidita dal portavoce del Consiglio per la sicurezza nazionale, John Kirby, in un briefing con un ristretto gruppo di giornalisti. Il funzionario della Casa Bianca ha, infatti, spiegato che ciò che il presidente intendeva dire era che le critiche alle politiche di Netanyahu sono "questioni interne" e che il governo americano "continua a sostenere Israele nella sua lotta contro Hamas".
Keystone
Biden e Netanyahu faccia a faccia
Certo, le differenze tra i due leader su alcune questioni chiave sono innegabili, come ha sottolineato lo stesso Biden nell'intervista. "Il mio principale disaccordo con Netanyahu è cosa succederà dopo la fine della guerra a Gaza? Le forze israeliane si ritireranno? È necessaria una soluzione a due Stati, una transizione verso una soluzione a due Stati. E questo è il mio più grande disaccordo con Bibi Netanyahu", ha insistito il presidente americano che, comunque, ha riconosciuto al premier israeliano di "essere preparato a tutto pur di salvare gli ostaggi". "Hamas potrebbe porre fine a tutto questo domani, l'ultima offerta che Israele ha fatto è stata molto generosa. Bibi è sottoposto a una pressione enorme sugli ostaggi", ha sottolineato.
La Casa Bianca ha fatto sapere che i due leader si parleranno nei prossimi giorni, mentre non ha dato nessuna informazione sull'eventuale visita del premier israeliano a Washington. Secondo i siti Punchbowl news e Politico, Netanyahu dovrebbe parlare al Congresso il 13 giugno, una data tuttavia smentita dal suo ufficio perché coincide con una festa ebraica che si chiude proprio quel giorno. L'ipotesi più plausibile potrebbe essere allora che il premier parta quindi subito dopo la festività, per poi intervenire a Capitol Hill e magari fermarsi fino al ritorno di Biden dal G7, il 15 o 16 giugno.
Nel frattempo, gli Stati Uniti continuano il pressing sull'intesa per un cessate il fuoco e annunciano una risoluzione del Consiglio di sicurezza dell'Onu a sostegno del piano. "Numerosi leader e governi, anche nella regione, hanno approvato questo piano", ha affermato l'ambasciatrice statunitense al Palazzo di Vetro Linda Thomas-Greenfield. La bozza del testo "accoglie favorevolmente il nuovo accordo annunciato il 31 maggio e invita Hamas ad accettarlo pienamente e ad attuarne i termini senza indugi e senza condizioni".
Hamas intanto insiste: senza la fine della guerra a Gaza e il ritiro dell'esercito israeliano non ci sarà alcun accordo. A pochi giorni dall'annuncio della road map delineata da Biden, le nuvole tornano ad addensarsi sui negoziati tra la fazione palestinese e Israele, chiudendo almeno in apparenza gli spiragli e gelando le aspettative delle ore passate. E questo nonostante le forti pressioni dei mediatori - con in testa il Qatar - per chiudere il cerchio.
Keystone
Proteste a Nablus, in Cisgiordania
Il rappresentante di Hamas Osama Hamdan ha fatto sapere da Beirut che "la proposta di Israele non risponde alla fine della guerra e al ritiro da Gaza, e non è coerente con i principi stabiliti da Biden". "Senza una posizione chiara da parte di Israele per preparare la fine definitiva del conflitto e il ritiro dalla Striscia Gaza, non ci sarà accordo", ha insistito.
Il premier Benyamin Netanyahu, parlando con il presidente francese Emmanuel Macron, ha poi osservato che il Piano per la liberazione degli ostaggi "permette ad Israele di realizzare tutti gli obiettivi della guerra che Israele si è prefissato, compresa l'eliminazione di Hamas". Ed è un fatto che nello Stato ebraico il consenso alla road map si stia allargando. Lo Shas - un partito religioso della coalizione di governo - è uscito allo scoperto dichiarando di appoggiare il piano, con l'obiettivo di riportare a casa gli ostaggi. "Sosteniamo la proposta - ha detto - e rafforziamo il premier e il Gabinetto di Guerra affinché resistano a tutte le pressioni e portino l'accordo a una conclusione". Quello dei rapiti resta il dossier principale di Israele, anche perché secondo stime dell'Idf sono morti 43 dei 120 ostaggi (pari a un terzo) ancora in mano di Hamas a Gaza.