laR+ l'intervista

‘In fuga dalla Russia per raccontare la verità’

Kirill Artemenko, direttore in esilio della testata russa indipendente Paperpaper: ‘Comunichiamo in ogni modo, sui canali Telegram, ma anche su Tinder’

In sintesi:
  • La lista di giornalisti vittime del Cremlino è lunga
  • C’è chi poi ha dovuto chiudere il proprio giornale
Kirill Artemenko
(Twitter)
8 maggio 2023
|

Il nome e il volto più celebri sono indubbiamente quelli di Anna Politkovskaja, freddata con un proiettile alla testa nel suo ascensore. Era il 2006. Per l’esattezza il 7 ottobre, giorno stesso del compleanno di Vladimir Putin. Ma la lista di giornalisti vittime del Cremlino è lunga. Di morti ammazzati, secondo le stime dell’International Federation of Journalists, se ne contano diverse centinaia nell’ultimo quarto di secolo. C’è poi, lunga come una quaresima, un’altra lista: quella dei reporter, cameramen, editorialisti condannati in particolare per aver diffuso falsità sull’“operazione speciale” in Ucraina: tra i tanti, Alezander Nevzorov, 8 anni di reclusione, Maria Ponomarenko, 6 anni di colonia penale, Ivan Safronov 22 anni dietro le sbarre, Vladimir Kara-Murza, una vita, 25 anni, di carcere duro. Kara-Murza, è forse utile ricordarlo, amico di Boris Nemtsov, il principale oppositore di Putin, ucciso proprio davanti al Cremlino nel 2015. Ennesimo morto ammazzato tra gli oppositori.

C’è chi poi ha dovuto chiudere il proprio giornale, come Dmitrij Muratov, premio Nobel per la Pace 2021, direttore del più importante organo di informazione indipendente, la Novaya Gazeta, il quotidiano per il quale scriveva la Politkovskaja. La terza categoria di vittime nella professione a più alto rischio in Russia è costituita dai giornalisti in esilio che continuano, tra mille difficoltà e non pochi rischi, a tentare di informare su quanto realmente sta accadendo nel loro Paese. La diaspora ha imboccato diverse strade, creando redazioni alternative extra muros, in particolare a Tbilisi in Georgia e a Riga in Lettonia.

Al Festival Internazionale del Giornalismo, svoltosi a Perugia dal 19 al 23 aprile, diversi panel sono stati consacrati a questi professionisti coraggiosi che non hanno voluto gettare la spugna, lasciando il loro Paese per operare “in remoto”, ricorrendo alle opportunità, a volte straordinarie, che offre l’online. Nomi per lo più sconosciuti o poco conosciuti di giovani agguerriti che considerano quello dell’informazione un campo di battaglia imprescindibile. Come Kirill Artemenko, trentenne, co-fondatore e Ceo di Paperpaper, testata di San Pietroburgo oggi pubblicata a Riga.


Keystone
Fiori per Anna Politkovskaja, simbolo della libertà di stampa in Russia

Lei ha lasciato il suo Paese per continuare a svolgere il suo lavoro. Non c’era proprio altra scelta?

No, per me era impossibile lavorare e continuare a rimanere indipendente, applicare la linea editoriale del nostro giornale. Oltretutto essendo giovane e avendo fatto la scuola di ufficiali, sarei certamente stato mandato al fronte, in una guerra di aggressione. Nel marzo del 2022 ho così deciso di andarmene al più presto, nel timore che chiudessero le frontiere. Ma San Pietroburgo è la mia casa, la più bella città del mondo, non sarei mai voluto partire. E mi manca molto.

Il Fsb, l’ex Kgb, è attivo anche oltre frontiera, immagino che agenti dei servizi segreti siano presenti anche qui a Perugia, dove sono confluiti diversi giornalisti russi. Si sente al sicuro?

Forse per il fatto di non essere un nome noto come quello di Vladimir Kara-Murza, mi sento abbastanza al sicuro, benché debba sempre muovermi con prudenza. C’è un certo grado di pericolo, come dice lei, però è da accettare. E non è nulla rispetto a quanto di atroce stanno subendo gli ucraini. Mi sono dato uno scopo professionale preciso: gestire Paperpaper nel migliore dei modi e consentire alla redazione di lavorare per raccontare veramente quanto succede in Russia. Il mio timore riguarda i miei famigliari rimasti in patria che potrebbero essere vittime di rappresaglie. È una paura che non mi abbandona mai. Ma non posso fare proprio nulla.

Cosa ha significato per voi giornalisti indipendenti la durissima condanna a Kara-Murza? Come la interpreta?

Colpirne uno per correggerne cento. Lui è un personaggio coraggioso, un grande. Si è sacrificato per la libertà; da alcuni di noi è considerato alla stregua di un santo. Lo ammiriamo. Ma non è l’unico.

Sono stati arrestati anche giornalisti che lavorano con lei?

Sì, c’è una nostra cameraman che è anche artista, Alexandra Skochilenko, arrestata nell’aprile dello scorso anno perché aveva cambiato delle etichette in un supermercato per informare i consumatori. Sostituendo le indicazioni dei prezzi con notizie sui bombardamenti contro i civili a Mariupol. È in carcere da un anno e rischia una condanna a dieci anni. Alcuni giornalisti nel totale anonimato utilizzano anche i graffiti sui muri per informare la popolazione. Si tratta di azioni particolarmente efficaci, anche perché fanno sentire meno soli quanti si oppongono alla guerra.

Lavorare in remoto richiede dunque una buona dose di inventiva. Non siete sul terreno, vivete lontano da Mosca, eppure ci raccontate quanto sta succedendo nella Federazione e al fronte. Con quali strumenti?

Di fatto abbiamo imparato a lavorare in remoto già durante la pandemia di Covid-19. Sul terreno abbiamo dei giornalisti che operano nell’anonimato, comunichiamo via canali protetti, ma facciamo capo anche a lettori, persone qualsiasi che ci mandano foto, storie, contenuti, screenshot di chat, discussioni, da cui si capisce cosa sta succedendo.


Keystone
Dmitrij Muratov, ex direttore di Politkovskaja e Premio Nobel per la Pace

Raccogliere informazioni non basta, bisogna poi pubblicarle, diffonderle. E il vostro sito è censurato, bloccato. Come fate a informare chi sta in Russia in modo capillare, oltre ai graffiti e alle azioni puntuali di cui ci ha appena parlato?

Utilizziamo alcuni canali che servono anche per raccogliere notizie. Per esempio Telegram, un social protetto che non viene chiuso per la semplice ragione che serve anche al regime per la sua propaganda. Un altro social è Pinterest che interagisce con diverse altre reti sociali. Ma vi sono pure canali che utilizziamo in modo creativo e alternativo, per esempio Tinder, formalmente un sito di incontri ma che può servire per raccogliere e diffondere informazioni.

Vi è una qualche forma di collaborazione tra voi e i giornalisti ucraini?

Una collaborazione vera e propria è ancora rara. Si è collaborato su crimini dell’esercito russo. Ma non c’è continuità. Vede, siamo in realtà Paesi amici, o meglio: eravamo amici. Ora è tutto molto doloroso anche per noi russi, e io capisco la sofferenza degli ucraini che è enorme. Per loro noi siamo comunque gli aggressori. Ci vorrà del tempo per avviare un processo riparatore, come ce n’è voluto con i tedeschi dopo la seconda guerra mondiale: il tempo necessario anche per ritrovare una dimensione etica nei rapporti tra i due popoli.

Cosa dire della reazione e dei sentimenti e della popolazione russa? Vi sono molti non detti, un imbarazzo anche a parlarne, perché sembra che la maggioranza sostenga l’aggressione…

I sondaggi sembrano confermare che almeno i due terzi sostengono Putin. E il tema della responsabilità collettiva della popolazione e della società russe è un tema reale, doloroso. Non può essere cancellato con un colpo di spugna. Meduza, sito di informazione indipendente che opera pure da Riga, fornisce tuttavia un’interpretazione più sfumata dei sentimenti della popolazione. Bisogna in effetti considerare che la Russia è un Paese poliziesco, con 2-3 milioni di poliziotti anche in borghese. Molti intervistati nei sondaggi tendono così, per timore, a fornire “la risposta giusta”. Mentono dunque. Meduza afferma che in realtà vi è un 20-30 per cento nettamente a favore di Putin, una percentuale analoga contro, e il rimanente potrebbe muoversi a seconda della congiuntura bellica e sociale in un senso o in un altro.

Comunque non vi sono moti di ribellione vera e propria contro il regime, tali da indurlo a cambiare rotta e magari a porre fine alla guerra…

Nella storia non è purtroppo mai successo che una ribellione a un dittatura ponesse fine a un conflitto.

E dunque?

La guerra potrà finire con un compromesso? Una sconfitta russa la farebbe finire, ma è realistico immaginarlo? Non so, non sono in grado di fare previsioni.

Sta di fatto che il conflitto sta diventando per Mosca ben più pesante del previsto. Con il lavoro giornalistico siete in grado di capire la reale entità delle perdite umane sul fronte russo?

Sì, lavorando con gli strumenti Osint (Open Source Intelligence, ndr) possiamo avere un’idea della tragedia. Per esempio facendo proiezioni sulla base di e-mail, chat, discussioni e informazioni scambiate tra persone o famiglie, il numero dei soldati morti accertati è di circa 20mila, ma la cifra complessiva reale dovrebbe aggirarsi sui 60mila. A cui bisogna aggiungere poi i feriti. Abbiamo già superato il bilancio delle vittime in Afghanistan, Cecenia. È una tragedia immane per gli ucraini, ma è anche un dramma per noi russi.

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