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Gli svizzeri restano bloccati. Colpita l’ambasciata

Personale e cittadini con passaporto rossocrociato non possono muoversi per ora, mentre il conflitto fra esercito e paramilitari si ingrandisce

Il fumo che sale dalle strade di Khartum
(Keystone)
21 aprile 2023
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Il personale dell'ambasciata svizzera in Sudan e l'altro centinaio di cittadini con passaporto rossocrociato che si trovano sul posto non possono al momento essere fatti uscire dal Paese africano, ripiombato da giorni in un conflitto fra esercito e paramilitari. La situazione non consente infatti di organizzare una partenza collettiva.

È quanto ha riferito Serge Bavaud, capo della gestione delle crisi presso il Dipartimento federale degli affari esteri (Dfae), in un incontro con i media oggi a Berna. Al momento non ci sono garanzie di sicurezza dalle parti che si stanno scontrando, ha affermato.

Bavaud ha aggiunto che l'ambasciata è stata gravemente colpita dal fuoco incrociato dei combattimenti a causa della sua posizione, ossia nella zona contesa della capitale Khartum. Parte dei dipendenti sono bloccati all'interno. Anche la residenza dell'ambasciatore ha subito danni, così come le abitazioni del personale.


Keystone
Attacchi anche durante la notte

Il responsabile ha poi dichiarato che il funzionamento dell'aeroporto non è garantito. In ogni caso, un rimpatrio sarebbe realistico solo con aerei da trasporto militari: è infatti improbabile che le compagnie di linea mettano a disposizione i loro velivoli.

In pochi vogliono partire

Stando ai dati in mano al Dfae sono circa 100 gli svizzeri registrati come residenti in Sudan, alcuni con la doppia cittadinanza. La Confederazione non ritiene che tutti siano intenzionati a fare le valigie, anzi. Finora solo una decina di persone ha in effetti espresso la volontà di andarsene, ha detto Bavaud, specificando che non tutti sono interessati dal conflitto. Al momento non ci sono notizie riguardo a connazionali feriti.

Vi sono poi sette diplomatici attualmente di stanza nel Paese, insieme a cinque accompagnatori e a due svizzeri inviati dal Dipartimento della difesa (Ddps) che lavorano a Khartum per una missione dell'Onu. Inoltre, l'ambasciata impiega una cinquantina di persone del posto, 30 delle quali sono guardie di sicurezza.

Peggio che in Afghanistan

Stando a Bavaud, la situazione in Sudan resta "imprevedibile e pericolosa", con gli scontri che non accennano ad arrestarsi. Nonostante le pressioni internazionali, non ci sono segnali che facciano pensare a negoziati per un armistizio fra le due fazioni.

A Khartum spopolano i saccheggi e l'approvvigionamento è problematico, ha continuato l'esperto in gestione delle crisi. Per di più, è difficile ottenere informazioni affidabili su quanto sta accadendo e sui pericoli. Nel complesso, questa emergenza si sta rivelando più complicata rispetto a quando i talebani nel 2021 presero il potere a Kabul, dato che in Afghanistan c'era già una presenza militare internazionale. Il Sudan è invece uno Stato sovrano, dove non è possibile inviare truppe.

Scontri fra generali

La speranza è quella di un cessate il fuoco e di una finestra temporale per portare fuori dal Paese chiunque lo desideri. Bavaud ha assicurato di essere in contatto con altre nazioni e con l'Unione europea sulla questione. Mercoledì la Germania ha tentato di effettuare un volo per persone bisognose di protezione, ma il tentativo ha dovuto essere interrotto.

Il caos in Sudan, già teatro di un colpo di Stato militare nel 2021, è scoppiato sabato, con scontri fra le unità dirette dai due generali più potenti del Paese. All'origine, la rivalità politica fra Abdel Fattah al-Burhan, capo del Consiglio sovrano e quindi de facto capo di Stato, e il suo vice, il filorusso Mohamed Hamdan Dagalo, alla guida del gruppo paramilitare Forze di supporto rapido (Rfs).

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