Legati ai ‘terroristi’. Confermata la condanna a morte a un iraniano con cittadinanza svedese
Giro di vite in Iran nei confronti di 100 persone che, secondo il governo, sarebbero responsabili dei diversi episodi di avvelenamento delle studentesse avvenuti nel Paese a partire da novembre. I presunti autori sono stati arrestati e sono accusati da Teheran di avere legami con gruppi "ostili".
I colpevoli farebbero parte di due categorie differenti e avevano obiettivi diversi, secondo quanto sostiene il ministero dell’Interno: "Alcune di queste persone miravano a far chiudere le scuole usando sostanze sostanzialmente innocue. Altri sono veri e propri criminali, che avevano un obiettivo ostile: chiudere le scuole e diffondere il pessimismo contro il sistema, creando paura tra il personale e gli studenti".
Questi ultimi sono sospettati di appartenere a organizzazioni di "terroristi dissidenti", collegati in particolare ai Mujahedin del popolo dell’Iran o Mujahedeen-e-Khalq (Mek), un gruppo di opposizione iraniana in esilio con sede in Albania che Teheran considera un’organizzazione "terrorista". Non tutti, però, concordano sulla versione fornita dal governo iraniano. Secondo un’analisi fatta dall’agenzia di stampa statunitense The Media Line (Tml), specializzata nel Medio oriente, l’ondata di avvelenamenti è stata compiuta, se non per conto del governo di Teheran, per lo meno con la sua complicità. L’obiettivo sarebbe quello di distrarre l’opinione pubblica dalle proteste contro il regime, che continuano sia nelle piazze che sui social.
È di ieri il video postato dalla giornalista iraniana Masih Alinejad in cui una ragazza col volto oscurato balla davanti alla prigione di Evin ’in supporto delle ragazze iraniane minacciate". Secondo Tml attribuire la colpa degli avvelenamenti a "un pugno di estremisti talebani" aiuta il governo iraniano a identificare un nemico che le autorità possono combattere, "esonerando così il sistema islamico nel suo complesso". Ovviamente, questa è una delle varie ipotesi: l’agenzia Usa spiega che la loro veridicità difficilmente può essere verificata in modo indipendente. Sul fronte dei diritti umani il regime degli Ayatollah continua a scricchiolare. Non ci sono solo le proteste e le uccisioni spesso sommarie segnalate da molte organizzazioni che difendono i diritti umani.
Oggi la Corte Suprema iraniana ha confermato la pena di morte per il dissidente iraniano-svedese Habib Farajollah Chaab, rapito due anni fa da agenti di Teheran in un aeroporto turco. L’accusa nei suoi confronti è di "corruzione in terra" per la formazione, la gestione e la guida del gruppo ribelle chiamato Harakat al-Nidal e per aver progettato ed eseguito numerose operazioni terroristiche nella provincia del Khuzestan. In particolare la Corte iraniana lo accusa di essere l’organizzatore dell’attentato del 2018 durante una parata militare ad Ahvaz, in cui morirono 25 persone e altre 250 furono ferite. Durante un programma televisivo iraniano, Chaab aveva confessato di essere un agente dei servizi sauditi e si era dichiarato responsabile dell’attentato: non sarebbe la prima volta che l’Iran estorce una confessione. Il governo svedese, attraverso il ministro degli esteri Tobias Billstrom, ha condannato gravemente il fatto, sostenendo che la scelta di Teheran è "disumana" e affermando di voler fare ulteriore chiarezza sulla questione: "La condanna a morte è una punizione disumana e irreversibile e la Svezia, insieme al resto dell’Ue, ne condanna l’uso in tutte le circostanze", ha concluso Billstrom.