Estero

‘Pray for Syria and Turkey’. L’inizio di un incubo

Il terremoto visto dal Ticino e con gli occhi della bellinzonese Sara Demir, con parenti sia in Turchia sia in Siria

Devastazione ovunque
(Keystone)
6 febbraio 2023
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Doveva essere una mattina come parecchie altre, la prima di una classica settimana lavorativa. Ma è bastata una sbirciata allo stato su WhatsApp di un’amica per trasformare quella di Sara Demir – nata e cresciuta a Bellinzona ma figlia d’immigrati degli anni 70 del Sud-est della Turchia – in una giornata da incubo. "Pray for Syria and Turkey" (pregate per Siria e Turchia). Cinque parole, la cui gravità lì per lì non era ancora chiara nella sua mente, ma che si è ben presto cristallizzata davanti ai suoi occhi nelle immagini che via social rimbalzavano da Turchia e Siria appunto. Immagini di due Paesi solcati fino all’anima dalle crepe lasciate dalla potente scossa tellurica verificatasi alle prime luci del giorno, nel pieno cuore della notte in Ticino, dove le lancette segnavano le 2.17. «Le immagini che si vedevano in rete non lasciavano purtroppo spazio a molti dubbi su cosa mi si parava davanti agli occhi», racconta Sara stessa, con la voce ancora tremante per la profonda commozione per quelle ferite provocate dalla terribile scossa, di magnitudo 7,6, che ha squarciato la notte nei territori poco distanti dal Golfo di Alessandretta.

«Dalla parte di papà ho suo fratello (mio zio Hanna) che vive a Kafro, che è appunto nel Sud-est della Turchia, dove si è trasferito diversi anni fa con sua moglie e uno dei suoi figli, dopo aver vissuto per parecchio tempo in Germania. Per fortuna, da quanto ho potuto apprendere direttamente da mio zio paterno e da uno dei suoi figli che vive in Germania, a Kafro i danni provocati dal sisma sono stati contenuti, ci sono stati davvero pochi danni. Sicuramente tutte cose minori se paragonate ai danni subite nelle zone più colpite dalla devastante forza tellurica, – riferisce Sara, che continua –. Per la parte materna ho subito chiamato mio zio Melek, che vive e lavora pure lui qui a Bellinzona e che tiene i contatti con i nostri parenti in Turchia, dei cugini di mia madre che abitano a quattro ore di macchina da Diyarbakir, ad Hah (in aramaico, che in turco sarebbe Antli, ndr). Fortuna vuole che le linee telefoniche non siano state danneggiate dove vivono, di modo che è riuscito a sincerarsi delle condizioni di tutti i nostri parenti e conoscenti, in modo che potessimo tirare un bel sospiro di sollievo».

«Sì, per fortuna, malgrado tutto, stanno tutti bene – racconta Melek, lo zio di Sara Demir –. L’ultima che ho raggiunto è stata mia cugina, che vive in un paesino turco poco distante dalla zona interessata dal sisma. Lì da loro le case non hanno subìto danni particolari, ma mi ha raccontato che a Diyarbakir la situazione è grave: il terremoto ha provocato un autentico disastro. E lo stesso vale per parecchie altre città della zona. Il crollo degli edifici, ad ogni buon conto, non ha arrecato grossi danni alle linee telefoniche, così ho potuto raggiungere tutti i miei parenti e conoscenti, o con la linea fissa, o tramite WhatsApp, e questo ci ha dato un po’ più di tranquillità. Durante la giornata ci siamo sentiti ancora regolarmente. Ad avvisarmi del sisma, stamattina, è stata mia sorella, che mi ha detto di precipitarmi a guardare le ultime notizie online: lo spavento che abbiamo subito provato è stato grande! Mio cugino, che vive ad Hah, dove c’è anche il più antico monastero della Madonna, mi ha raccontato che alla prima scossa si sono precipitati in strada, temendo che crollasse, erano tutti spaventati. Malgrado le temperature non ideali (addirittura, durante tutto il weekend per la prima volta quest’inverno era caduto pure qualche fiocco di neve, imbiancando tutta la regione), lì, in strada, era pur sempre il luogo più sicuro vista la situazione...».

E un sospiro di sollievo lo tira anche Sonia, la matrigna di Sara che si è sposata con suo padre in seguito al decesso di sua madre; rinfrancata pure lei dalle notizie provenienti dall’altro versante del confine fra Turchia e Siria. «Lì, a Qamishli, villaggio a una cinquantina di chilometri dal confine con la Turchia, attualmente vive mio fratello con sua moglie e due gemelli. Li ho sentiti qualche ora dopo la prima scossa di terremoto e fortunatamente stanno tutti bene, anche se lo spavento che hanno provato è stato grande. E hanno vissuto una giornata particolare, un continuo dentro e fuori dalle loro case... Dopo la prima scossa sono corsi in strada, sotto una pioggia battente; fuori faceva pure freddo. Dopo qualche ora, cessato l’allarme, sono rientrati in casa, salvo poi tornare tutti fuori a ogni scossa di assestamento seguente. A un certo punto hanno radunato quel che potevano, poi mio fratello ha caricato tutti in macchina e si sono spostati in una zona più sicura, lontano da grandi edifici e da fonti di corrente. In serata, per fortuna, sono tornati nuovamente a casa. Ma le autorità hanno avvisato tutti di tenersi pronti a lasciare nuovamente l’abitazione qualora si verificassero nuove (probabili) scosse di assestamento».

Ogni terremoto è un dramma. Per chi lo vive in prima persona, ma anche per chi ha i propri cari che vivono nei posti colpiti dal sisma... «Pensando a tutte le persone che sono morte sotto le macerie è sempre qualcosa di scioccante. Ogni terremoto e ogni vittima che esso provoca è qualcosa di sconvolgente, ma stavolta, evidentemente, lo è ancora di più per me, perché mi sento toccata ancora più da vicino. Proprio in quella regione ero stata subito prima della pandemia, nel 2019, come unica persona ticinese di una comitiva di aramaici proveniente da più nazioni del mondo; in quell’occasione avevo anche fatto una veloce visita a mio zio Hanna che vive laggiù. Ecco, ripensare a quel viaggio, a quelle terre visitate pochi anni fa (per esempio ho visitato Sanliurfa), e pensare alla devastazione che dev’esserci oggi, con quelle ferite profonde lasciate dal terremoto di questa notte, fa davvero accapponare la pelle: non ci sono parole per descrivere i sentimenti che ho provato nel vedere determinati video che arrivavano da quei luoghi».

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