laR+ il boss arrestato

La ‘connection’ svizzera di Matteo Messina Denaro

Dal Ticino a Basilea, tutta la rete di contatti del boss. I traffici di opere d’arte, il maxi-archivio, i fedelissimi cassieri

Matteo Messina Denaro dopo l’arresto (Keystone)
19 gennaio 2023
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È in un piccolo villaggio del Trapanese di 11mila anime che Matteo Messina Denaro ha vissuto gli ultimi mesi della sua vita da uomo "libero". Per trent’anni si è nascosto nell’oltretomba a due passi da casa sua. E dall’oltretomba ha costruito il suo impero economico non solo vicino a sé, ma anche all’estero, soprattutto in Svizzera. Qui ci sono le sue relazioni finanziarie, i suoi amici fidati, i suoi prestanome, le sue opere d’arte. E le radici del suo impero nella Confederazione sono ben radicate, delle radici che gli hanno permesso di finanziare parte della sua latitanza, sfuggendo come un fantasma alla legge. E ora questo fantasma è tornato dall’oltretomba, ma sono ancora molti i misteri da svelare che aleggiano attorno all’ultimo boss stragista.

A Basilea si fa arte

Matteo Messina Denaro ha sempre avuto un debole per la Svizzera. Si narra che "U siccu" nella sua giovinezza venisse con i suoi amici per rifornirsi di armi e custodire soldi. Sicuramente una volta in questi viaggi era accompagnato da Giuseppe Fontana, detto "Rocky", colui che dopo divenne uno dei messaggeri più vicini a Messina Denaro, condannato tra le altre cose per traffico internazionale di droga e di opere d’arte. I due avevano una gran passione proprio per l’arte, o meglio per rubare reperti archeologici. Così passavano le loro estati in gioventù. Una passione andata avanti per anni, anche quando Messina Denaro era uno degli uomini più ricercati al mondo.

Questa sua passione a dire il vero è genetica. Già il padre Francesco, detto "Ciccio", capo del mandamento di Castelvetrano, si era messo in affari con l’amico Gianfranco Becchina. Con lui, già a partire dagli anni 60-70 avrebbe gestito le attività illegali legate agli scavi clandestini nell’importante sito archeologico siciliano di Selinunte.

Becchina è il classico uomo che si è fatto dal nulla. Nato a Castelvetrano nel 1939, negli anni 70 si trasferisce a Basilea, qui inizia a lavorare in un hotel, solo dopo diventa mercante di opere d’arte. Un importante mercante di opere d’arte. Nel 1976 fonda la Palladion Antike Kunst. La sua prima avventura giudiziaria però risale agli anni 60, quando appena 25enne viene pizzicato dai carabinieri con la macchina piena di vasi di terracotta. Si dice che ci fossero proprio Becchina e il padre di Messina Denaro dietro il furto dell’Efebo di Selinunte, statuetta di inestimabile valore rubata e poi ritrovata dalla polizia nel ’68. Dopo la morte di Ciccio, è Matteo che riprende il business.


L’Efebo di Selinunte (Keystone)

È il 2001 quando Becchina viene accusato dalla Procura di Roma di essere "a capo di un’organizzazione criminale dedita al traffico internazionale di reperti archeologici". Reperti che secondo le autorità venivano esportati illegalmente in Svizzera, dove si rivendevano e si riciclava il denaro guadagnato. Già all’epoca gli investigatori captarono dei contatti telefonici tra le utenze di Matteo e quella elvetica di Becchina. Ma sono poi i molti pentiti a descriverlo come il referente in Svizzera di "U siccu".

Parola di Brusca

Ci pensò il pentito "d’onore" Giovanni Brusca a dire che i trafficanti d’arte legati al padrino di Castelvetrano avrebbero avuto la loro base nella Confederazione. Il dito era puntato proprio contro Becchina. Era lui secondo gli inquirenti a investire i proventi della vendita di quei reperti trafugati per destinarli a Messina Denaro. A pesare furono anche le dichiarazioni di Giuseppe Grigoli, ex patron di Despar in Sicilia. Grigoli, "re dei supermercati" condannato per essere stato il braccio imprenditoriale di Messina Denaro, raccontò alla Direzione antimafia di Palermo di avere ricevuto delle buste piene di soldi proprio da Becchina. Forniva date precise: tra il 1999 e il 2006.

Queste buste dovevano essere consegnate a un tramite d’eccezione, il cognato del super-latitante. E nel tempo Becchina ha fatto girare parecchi soldi. Gli vennero sequestrati cinque magazzini a Basilea e si scoprì anche un archivio con più di 17mila documenti e 4mila immagini.

Questo caso, come molti altri, cadde in prescrizione; in altre inchieste invece Becchina fu stralciato dalle indagini. È solo nel 2017 che gli vengono sequestrati altri 38 fabbricati, 4 automezzi e 24 terreni. Beni per oltre 10 milioni di euro. Un sequestro confermato nel maggio 2022, ma su cui pende ancora ricorso. Becchina ha sempre negato tutto. Nell’agosto del 2018 però la Guardia di finanza sequestra beni per oltre 60 milioni di euro dell’imprenditore Giovanni Savalle, altro tesoriere di Messina Denaro, legato anch’egli a Gianfranco Becchina. Tra questi una dozzina di conti bancari in Svizzera, quasi tutti in Ticino, per un totale di circa 15 milioni di franchi.

Un vento caldo soffia dalla Sicilia

Ma non c’è solo l’arte a far coincidere gli interessi di Messina Denaro con la Svizzera. Dalla Sicilia infatti soffia un vento che porta parecchi soldi e misteri. Sì, perché dal sud al nord si diramavano gli affari del "re del vento", come lo definiva il Financial Times qualche anno fa. Vito Nicastri, imprenditore "green" di Alcamo, ex elettricista diventato leader siciliano del settore eolico è anche lui un uomo che si è fatto da solo. In realtà è considerato dagli investigatori dell’antimafia come un prestanome di Matteo Messina Denaro.

Nicastri è colui che ha subìto uno dei più grandi sequestri di beni della storia italiana: un miliardo e 300 milioni di euro nel 2010. Tra il 2002 e il 2006 ottiene il più alto numero di concessioni in Sicilia per costruire parchi eolici. Le sentenze contro Nicastri forse non dicono tutto: prima condannato per concorso esterno in associazione mafiosa, poi assolto in secondo grado e ora nuovamente a processo. Ma da molti pentiti è ritenuto uno dei più importanti prestanome nonché grande finanziatore di Messina Denaro. E parte di questi affari, come anche parte della sua famiglia, sono arrivati sino in Ticino. "Tuo papà con i miei soldi si è comprato la ‘cosa’ per sua moglie in Svizzera", diceva in uno stralcio di intercettazione – ripreso dal quotidiano La Repubblica nell’aprile 2019 – Paolo Arata, consulente del governo pentastellato, al figlio di Vito Nicastri, con il quale aveva stretto legami d’affari. Arata venne arrestato e indagato per corruzione.


Molti gli affari del boss a Basilea (Keystone)

E proprio la moglie di seconde nozze del "re dell’eolico", lei calabrese di origine, avrebbe vissuto in Ticino, con attività commerciali e business nella ristorazione tra Lugano e Bellinzona. Nei pressi della capitale aveva la sua tabaccheria. Poi venduta. Lei era l’amministratrice di alcune società che secondo la Procura antimafia di Palermo "avevano stipulato nel 2010 vari atti di acquisto di diritti di superficie con esponenti delle cosche calabresi di Platì e di San Luca". La Dia ha fatto verifiche sui tabulati di Arata e dei legami con la Svizzera, ma di quelle indagini non si è saputo ancora nulla. I misteri dei Nicastri dunque non sono ancora del tutto fugati. E come il vento, non si fanno acchiappare.

Il cemento tira più del vento

Dal vento si arriva al cemento. In Svizzera, più precisamente in Vallese, lavorava e viveva un controverso imprenditore calabrese attivo nelle costruzioni. Le vicende giudiziarie su di lui sono molteplici. Tanto che la sua traiettoria professionale e i suoi modi di porsi con i funzionari della Confederazione hanno fatto cambiare le regole anti-corruzione all’Ustra. L’Ufficio federale delle strade, dopo uno scandalo di vantaggi indebiti che ha infuocato la stampa d’Oltralpe, ha rimesso mano alle regole interne precisandone i contorni.

Questo dopo che due funzionari sono stati condannati per amministrazione infedele nel luglio 2021. Hanno accettato regali in cambio di appalti relativi a grandi opere sulla strada del Sempione. Aveva fatto scalpore la loro condanna, ma ancora di più l’assoluzione dell’imprenditore. Quest’ultimo aveva regalato loro cene in ristoranti stellati, soggiorni di lusso, cibo e casse di vino per migliaia di franchi. A uno dei due funzionari addirittura un furgoncino da 22mila franchi, oltre al lavoro estivo presso la sua ditta per i suoi figli. Ma gli inquirenti non hanno saputo provare che l’uomo fosse consapevole dell’illegalità dei vantaggi e che avesse l’intenzione di influenzarli.

Ma cosa c’entra tutto ciò con Matteo Messina Denaro? Il nome dell’imprenditore che – va precisato – non è mai stato condannato per mafia, è comunque presente in molte inchieste. In una delle quali viene definito quale "figura di riferimento influente per alcuni mafiosi nella conduzione della loro attività imprenditoriale". Ed è in un’inchiesta che ha condannato due imprenditori siciliani per i lavori di Expo 2015 a Milano che il suo nome viene associato a quello del super-latitante.

Il "vallesano" avrebbe infatti dovuto sostituire uno dei più vicini a Messina Denaro quale referente al nord. È commentando l’arresto di Domenico Scimonelli, altro sodale di Messina Denaro, che uno dei due imprenditori siciliani condannati per mafia ammette: "Appena scendo glielo faccio sapere che questo si è messo a disposizione", si legge tra le carte di una sentenza. L’intenzione dell’imprenditore condannato era di riferire in Sicilia che "qualcun altro ‘si era messo a disposizione del boss’", e l’uomo si riferiva proprio al "vallesano" incontrato il giorno prima da lui e da un altro mafioso. Su questo e altri incontri le indagini degli inquirenti non hanno ancora fatto piena chiarezza.

L’Uomo Bancomat di Locarno

Ma chiarezza almeno dal punto di vista giudiziario è stata fatta per Domenico Scimonelli, detto "Mimmo", imprenditore attivo nel settore della viticoltura e dei supermercati. E anche Scimonelli ha solide radici in Svizzera. Lui è nato a Locarno, dove ha vissuto sino a 18 anni, dopo è tornato alla terra natia, a Partanna, in provincia di Trapani, ed è qui che ha iniziato a gestire gli affari per conto di Messina Denaro. Lui aveva il compito di far fruttare i suoi soldi e custodirli nelle banche.

A Lugano aveva aperto almeno due conti in altrettante banche per conto di Matteo. "Uomo bancomat" lo chiamava, e il suo ruolo era quello di fare da corriere del denaro tra la Sicilia e la Svizzera. La sua specializzazione era creare schermi societari e ottenere carte di credito. Scimonelli è stato arrestato nel 2015, quando gli hanno sequestrano beni per 13 milioni di euro. Viene condannato nel 2016 a 17 anni per mafia, nel 2018 in un’altra sentenza viene condannato all’ergastolo, come mandante di un omicidio. Secondo la direzione distrettuale di Palermo era lui uno degli ultimi anelli della catena di postini che ha permesso le comunicazioni del boss latitante. Una catena che oggi non ha più ragion d’essere. E con l’arresto di Matteo Messina Denaro si è rotta definitivamente. Una nuova stagione si è aperta, c’è già chi l’ha chiamata il "dopo Denaro". Il suo impero è stimato attorno ai 4-5 miliardi. E quella che si apre è anche la stagione per trovare il suo denaro. Chissà se verranno a bussare anche nelle banche elvetiche. O se questi soldi rimarranno nell’oltretomba, come un fantasma.

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