Estero

Terrore in Iran, attore e calciatore condannati a morte

Entrambi sono stati detenuti dopo aver partecipato ai cortei dilagati in seguito alla morte di Mahsa Amini

Le proteste continuano
(Keystone)
11 dicembre 2022
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L‘esecuzione ‘imminente’ prevista per oggi di uno dei giovani manifestanti condannati in Iran per aver preso parte alle proteste contro il regime non c’è stata. Ma il clima di terrore viene sapientemente alimentato nel Paese, con la diffusione di notizie su nuove condanne a morte: oggi è stata fatta trapelare la decisione della pena capitale per l’ex calciatore Amir Nasr-Azadani, di 26 anni, e per il coetaneo attore teatrale Hossein Mohammadi. Entrambi detenuti dopo essere stati ai cortei dilagati in Iran in seguito alla morte di Mahsa Amini, avvenuta mentre era in arresto nella caserma della polizia morale per non aver indossato l’hijab secondo le regole. Amir e Hossein per i giudici della Repubblica islamica sono due ’traditori’, hanno compiuto atti di ‘guerra’, hanno minato la sicurezza del popolo e quindi meritano di morire. Il capo del tribunale di Isfahan, Asadollah Jafari, ha dichiarato che l’ex calciatore delle squadre Sepahan e Tractor è "uno dei nove imputati nel caso in cui tre agenti di sicurezza sono stati martirizzati durante i disordini del 25 novembre". Ad Azadani, arrestato il 27 novembre, viene contestato di essere membro di un "gruppo armato e organizzato che opera con l’intenzione di colpire la Repubblica islamica dell’Iran". Sul destino di Mohammadi ha deciso invece un tribunale di Karaj: l’artista fa parte di un gruppo di cinque persone arrestate il 5 novembre, tutte condannate alla pena di morte. Resta sospeso invece tra la vita e la morte Sedarat Madani, il 23enne che avrebbe dovuto essere impiccato oggi: il suo principale accusatore, l’agente Mohammad Reza Qonbartalib, ha scritto su Twitter di aver perdonato Sedarat e che la pena è stata "sospesa e rinviata". Ma la magistratura iraniana non ha confermato la sospensione. In precedenza, in un altro tweet poi cancellato, Qonbartalib aveva annunciato solo il rinvio di 48 ore dell’esecuzione. Insomma, più che una frenata delle autorità sulle esecuzioni, l’altalena di annunci spinge a immaginare una strategia per spaventare a morte chiunque sia pronto a scendere in piazza per nuove manifestazioni.

Intanto, nonostante la ferocia delle autorità esibita l’8 dicembre con l’impiccagione all’alba del manifestante 23enne Mohsen Shekar, sui social rimbalzano i messaggi di attivisti e gente comune con la richiesta di far tornare a casa arrestati e condannati. Il post dell’attrice francese Juliette Binoche che ha pregato di fermare l’esecuzione dell’attore Hossein Mohammadi e degli altri manifestanti è stato rilanciato migliaia di volte. Le famiglie, quando possono, si uniscono al vortice di messaggi cercando un filo di speranza in ogni dettaglio. Come nel caso del padre di Sahand Noormohammadzadeh, uno dei giovani condannati a morte, che in un’intervista a Sharq ha smentito la notizia che il figlio sia stato trasferito nel carcere di Rajaee Shahr per l’esecuzione: "Sahand è nella prigione di Fashafuye. Ha chiamato oggi. Le notizie pubblicate sull’esecuzione della sua condanna non sono vere", ha detto.

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