L’alleanza sionista si è dimostrata decisiva per la vittoria di Netanyahu. Ora si attende il nuovo governo
A vederlo così, con quel faccione sorridente sotto la kippah bianca e gli occhiali un po’ storti, Itamar Ben-Gvir ha l’aria mite d’un prof di liceo che preferisce il pastrami e le feste di Bar mitzvah ai pistolotti d’estrema destra. Eppure è anche il tipo di persona che durante una manifestazione palestinese ha sguainato una pistola, ha invitato la polizia a fare altrettanto e battendosi il petto si è presentato come "il padrone di casa". Uno che in salotto teneva appesa la foto di Baruch Goldstein, il terrorista che nel 1994 entrò in una moschea di Hebron e si mise a sparare sui fedeli, uccidendone 29 e ferendone più di 120. Lo stesso Ben-Gvir che nel 1995, quando aveva appena 19 anni, si presentò alla tivù con in mano lo stemma che aveva strappato alla Cadillac di Yitzhak Rabin, esclamando "siamo arrivati alla sua auto, possiamo arrivare anche a lui" (l’architetto degli Accordi israelo-palestinesi di Oslo sarebbe stato ucciso da un estremista di destra due settimane dopo).
Proprio il 46enne Ben-Gvir potrebbe riportare al potere Benjamin Netanyahu, che di anni ne ha 73, dopo un passaggio all’opposizione, uno scandalo di corruzione e 15 anni passati sulla poltrona di primo ministro (più del padre della patria David Ben-Gurion). Perché è al partito dell’avvocato Ben-Gvir, Potere ebraico, e ai suoi cugini del Partito sionista religioso – arrivati terzi assoluti – che ‘re Bibi’ deve la vittoria. Per la prima volta dopo cinque elezioni in meno di quattro anni, si direbbe che vi sia anche una chiara maggioranza: il Likud ha guadagnato 32 seggi su 120, che diventano 65 se si contano i voti di coalizione. L’estrema destra ha saputo mobilitare l’elettorato più giovane – quello che ama il ‘parlar chiaro’ degli oltranzisti – consentendo un’affluenza mai vista dal 1999 (+6% rispetto all’ultima tornata) e raddoppiando i seggi.
Malissimo, invece, il centrosinistra: i Laburisti che hanno governato per i primi trent’anni dello Stato d’Israele sono ridotti a 4 seggi, la sinistra-sinistra di Meretz potrebbe restare fuori dalla Knesset e anche i partiti arabi-israeliani, divisi, boccheggiano. La formazione del premier uscente Yair Lapid, Yesh Atid, resta lontana seconda e verosimilmente incapace di ricomporre una coalizione già eterogenea e contraddittoria, tenuta insieme solo dall’opposizione a Netanyahu e inceppata a 50 seggi.
Certo, non si può escludere uno di quei colpi di scena ai quali la politica israeliana ci ha abituati da tempo: Netanyahu potrebbe ad esempio provare a dialogare coi più presentabili moderati di Benny Gantz, che ha promesso di non allearcisi ma potrebbe cambiare idea. In caso contrario, è probabile che la nuova compagine debba pagare un generoso tributo agli amici sionisti, con Ben-Gvir già interessato alla Pubblica sicurezza e l’altro leader d’area, Bezalel Smotrich, che guarda alla Difesa (lasciata proprio da Gantz).
D’altronde, il loro è un risultato storico e decisivo. E pazienza se Ben-Gvir è stato condannato per discorsi d’odio e per avere sostenuto Kach, un gruppo di terroristi antipalestinesi messo poi fuorilegge; se offre difesa legale a chiunque continui su quella strada; se vorrebbe cacciare dal Paese i cittadini arabi e intestarsi tutti i territori occupati, mentre Smotrich ha fondato un’organizzazione per bloccare a suon di ricorsi la costruzione di abitazioni per i Palestinesi in Cisgiordania, vorrebbe incorporare la legge religiosa tradizionale nei codici di Stato e non vuole sentir parlare di pacifica convivenza.
Perché alla fine, per Netanyahu, contano i seggi. E mentre il 2022 si avvia a essere l’anno più insanguinato dal 2005 per Israele e Palestina, l’idea di una soluzione o anche solo di un ritorno a colloqui di pace "appartiene al regno della fantasia", come nota tra gli altri il Guardian.
Ora i vincitori fanno attenzione a non infiammare troppo gli animi: "Mi prenderò cura di tutti", ha detto un paterno Netanyahu, e Ben-Gvir ha chiosato che "lavorerò per tutto il popolo di Israele, anche per chi mi odia". Peccato che Il Foglio riporti anche quanto dichiarato dal suo braccio destro Yitzhak Wasserlauf, che "quando un giornalista di Channel 11 gli ha domandato che messaggio avesse per il popolo di sinistra e il popolo arabo preoccupati per il risultato dell’estrema destra, ha risposto: dovrebbero continuare a preoccuparsi". Di questo, almeno, si può stare certi.