Brasile

Il giorno di Lula

L’ex sindacalista vince il ballottaggio. Sconfitto per un soffio il candidato della destra Jair Bolsonaro

31 ottobre 2022
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Luiz Inacio Lula da Silva ce l’ha fatta. L’ex sindacalista ha battuto per un soffio il suo avversario Jair Bolsonaro e sarà presidente del Brasile per la terza volta, in quella che i commentatori già definiscono "una vittoria storica". Ma il Paese esce dalle urne spaccato, esausto dopo una campagna elettorale di due mesi, la più polarizzata dalla dittatura.

Fino alla fine è stata una sfida all’ultimo voto, funestata dal caos nel trasporto pubblico, con molti elettori che in varie città del Paese non hanno avuto accesso gratuito ai mezzi, in un ballottaggio al veleno che ha rischiato di pesare sui suffragi. Il Tribunale superiore elettorale ha ufficializzato la vittoria, col 98,86% del totale delle sezioni scrutinate, quando Lula aveva totalizzato il 50,83% dei voti (59’596’247), contro il 49,17% del presidente di destra, Jair Bolsonaro (57’675’427).

"E’ una vittoria della democrazia", ha detto il leader di sinistra salutando quanti hanno accolto il risultato con fuochi artificiali, grida di gioia, lacrime e caroselli in auto. Con l’avenida paulista che attende il nuovo presidente per i festeggiamenti notturni. Nei due mesi spesi a convincere i brasiliani battendo le piazze del colosso sudamericano da nord a sud, l’ex operaio diventato presidente non ha perso occasione per chiedere di far prevalere un modello progressista per il Paese, per riportarlo nell’orbita delle relazioni internazionali ("ora è più isolato di Cuba"), per riaccendere l’attenzione sugli indigenti ("33 milioni soffrono la fame"), per arrestare lo sterminio degli indigeni e lo smantellamento delle foreste dell’Amazzonia.

Una rivincita per Lula, dopo dodici anni di assenza, quando l’inchiesta Lava Jato, la mani pulite brasiliana lo travolse facendolo finire in carcere per 18 mesi. E un record negativo per Bolsonaro, l’unico presidente a non aver ricevuto la riconferma alla seconda candidatura, in un inedito scontro tra un capo di Stato e un ex presidente.

Dal primo gennaio (data di inizio del nuovo mandato) starà a Lula pacificare il Paese, dove il bolsonarismo ha ormai raggiunto i gangli della società, ma i due mesi di transizione da qui ad allora non si annunciano facili. Visto il margine ristretto, il rischio e il timore di molti è che il presidente uscente possa contestare il risultato elettorale, o comunque gettare benzina sul fuoco, incendiando le piazze, in una riedizione di quanto già visto con Donald Trump e la folla che invase Capitol Hill a Washington. D’altra parte non sarebbe la prima volta che nel gigante sudamericano i risultati elettorali vengono messi in discussione. Accadde anche a Dilma Roussef, compagna di partito di Lula, nell’ottobre 2014, quando il suo avversario, il conservatore Aecio Neves (Psdb) contestò la sua vittoria al secondo turno, allungando il sospetto di frodi e manipolazioni.

L’ex capitano dell’Esercito nei due mesi di campagna elettorale si è scagliato senza tregua contro il Tribunale superiore elettorale e la sua guida, il giudice Alexandre de Moraes, mettendo in dubbio la trasparenza e la legittimità dell’organismo democratico. Ma non finisce qui. Nel periodo di transizione il presidente uscente potrebbe varare misure provvisorie ad effetto immediato (con la pubblicazione sulla Gazzetta ufficiale), per allentare ad esempio la liberalizzazione della vendita delle armi, accrescendo così il rischio di violenza politica.

Tutte preoccupazioni che comunque non hanno intaccato i festeggiamenti dei sostenitori, per quella che il New York Times e gli osservatori politici definiscono una vittoria per l’Amazzonia depredata, per i popoli indigeni umiliati, per le fasce più povere, e per tutti quelli che nei quattro anni del governo Bolsonaro non si sono mai identificati col suo progetto basato su Dio, patria e famiglia. E subito si sono congratulati i leader dell’America Latina, dal colombiano Gustavo Petro all’argentino Alberto Fernandez così come hanno salutato con gioia il ritorno di Lula il francese Emmanuel Macron e lo spagnolo Pedro Sanchez. "Lavoreremo insieme per continuare la cooperazione fra i nostri due paesi nei mesi e negli anni a venire", ha affermato il presidente Usa Joe Biden.

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