la guerra in ucraina

Putin: ‘Non mi pento di nulla’

Lo zar tra aperture e minacce. E frasi che si contraddicono, con moniti alla Nato e ipotesi di tregua

Vladimir Putin (Keystone)
14 ottobre 2022
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Vladimir Putin ostenta sicurezza, a dispetto delle difficoltà delle sue truppe in Ucraina, e rivendica di "aver fatto tutto bene" finora. Eppure dalla sua analisi del conflitto, come spesso accade, emergono messaggi ambigui. Il presidente russo ha alternato minacce, come quella rivolta alla Nato a non inviare militari sul campo pena la "catastrofe globale", a rinnovati segnali di apertura a un dialogo con Kiev. Forse nella speranza di una tregua per far rifiatare l’Armata.

Lo zar è apparso sorridente in sala stampa, al termine del vertice Cica di Astana a cui hanno partecipato 27 Paesi centroasiatici. Un blocco che Putin considera alternativo a quello occidentale. Rispondendo alle domande dei giornalisti, il presidente russo ha riconosciuto le "preoccupazioni" dei Paesi ex Urss per la guerra in corso.

‘Non vogliamo distruggere l’Ucraina’

E ha mostrato, si fa per dire, il suo lato conciliante: "Non vogliamo distruggere l’Ucraina", ha assicurato, comunicando che al momento non c’è più bisogno di "attacchi massicci" sulle infrastrutture ucraine. Che si traduce in uno stop al diluvio di fuoco che per tre giorni si è abbattuto su tutto il Paese, Kiev compresa, in rappresaglia all’attacco ucraino al ponte in Crimea. Inoltre, ha spiegato, non è prevista una nuova ondata di mobilitazione, perché bastano i "222mila uomini reclutati rispetto ai 300mila previsti". E questa mobilitazione dovrebbe concludersi "in due settimane circa". Quando poi gli è stato chiesto se si rammaricasse di qualcosa dopo questi 8 mesi, Putin ha risposto seccamente di no. Affermando di essere stato costretto a fare ciò che ha fatto: "Ciò che sta accadendo è spiacevole" ma sarebbe accaduto prima o poi, "solo a condizioni peggiori per noi", è stato il ragionamento del presidente russo, che dal 2014 denuncia il "genocidio" contro la comunità russofona del Donbass da parte degli ucraini. Motivo sufficiente, per lo zar, per affermare che "stiamo agendo in modo corretto e tempestivo".


Soldati ucraini avanzano verso est (Keystone)

Ci sono stati poi segnali diretti di disgelo rivolti al nemico. Siamo "aperti alla prospettiva di colloqui con l’Ucraina", ha assicurato Putin, ricordando che era stato Volodymyr Zelensky a far saltare i negoziati partiti in Turchia, dopo il ritiro dei russi da Kiev. E per riprendere a trattare il mediatore ideale sarebbe il leader turco Recep Tayyp Erdogan, che ha già "svolto un ruolo significativo nella risoluzione di una serie di problemi". Fin qui le aperture, che Putin ha però bilanciato con altri toni più aspri. "Non vedo la necessità" di incontrare Joe Biden, ha risposto ad esempio a chi gli chiedeva di un possibile faccia a faccia al G20 di novembre in Indonesia, evocato proprio dal Cremlino nei giorni scorsi.

Altolà

Al presidente americano e a tutto l’Occidente, lo zar ha poi lanciato un nuovo monito: "L’invio di truppe della Nato in Ucraina per un confronto diretto con l’esercito russo sarebbe molto pericoloso e potrebbe causare una catastrofe globale". Quindi un altro avvertimento: "La Russia chiuderà i corridoi del grano se sarà confermato che gli esplosivi utilizzati per colpire il ponte della Crimea sono stati inviati da Odessa". Sulle reali intenzioni di Putin, ancora una volta, si resta nel campo dell’imperscrutabile, e si possono al massimo registrare le varie interpretazioni. Meduza, media indipendente russo che Mosca considera un agente straniero, ipotizza che il Cremlino stia valutando la ripresa dei negoziati per un cessate il fuoco temporaneo mirato a guadagnare tempo per addestrare i soldati di leva e rimpinguare rifornimenti e depositi. Con l’obiettivo di lanciare una nuova offensiva su larga scala tra febbraio e marzo dell’anno prossimo. Prendere tempo per riorganizzarsi è in effetti un’ipotesi plausibile, se si guarda all’evoluzione del conflitto sul terreno. Le truppe ucraine hanno rivendicato di aver liberato 600 insediamenti in un mese, nel nord-est e a sud, e sono sempre più vicine ad entrare nel capoluogo di Kherson, dove Mosca si prepara a far evacuare i civili. L’esercito di Kiev, tra l’altro, sull’onda di questi successi continua a spingersi oltre confine, come dimostra il secondo attacco in due giorni a Belgorod. Che stavolta avrebbe colpito una centrale elettrica.

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