L’operazione Hesperia ha portato in manette 35 persone legate alla rete del superlatitante in fuga da 30 anni ma ancora saldamente al potere a Trapani
Di Matteo Messina Denaro resta l’immagine trasparente di un fantasma. L’ultimo grande padrino di Cosa nostra è in fuga da quasi 30 anni e anche nel suo giro qualcuno, subito ripreso e intimidito, ha cominciato a sospettare che fosse morto. Non è morto, assicurano gli amici del cerchio magico e i carabinieri del Raggruppamento operativo speciale (Ros) che continuano a fare attorno al boss terra bruciata. Nella notte hanno compiuto un’altra operazione, che hanno chiamato Hesperia, per arrestare 35 persone su 70, indagate dalla Direzione distrettuale antimafia (Dda) di Palermo come complici e fiancheggiatori.
Dall’inchiesta spunta una figura centrale del sistema creato da Messina Denaro: è Francesco Luppino, di professione imprenditore, scarcerato tre anni fa e ora di nuovo arrestato. Le intercettazioni hanno rivelato che proprio lui aveva la delega del boss nella gestione del territorio e nelle nomine dei reggenti ma anche per gli appalti, gli affari e il complesso delle attività criminali tra Campobello di Mazara, Marsala e Mazara del Vallo. Le estorsioni erano, e sono, la chiave di tutto, ma il clan di Messina Denaro avrebbe avuto in mano ogni altro lembo del tessuto economico, compreso il controllo di alcune aste giudiziarie.
La "rete" del superlatitante sarebbe stata intaccata ma non completamente travolta dai blitz ripetuti (140 arresti dal 2011) che hanno colpito persone dello stesso nucleo familiare del boss: la sorella Rosalia e l’adorato nipote Francesco Guttadauro. Nomi che completano una saga familiare cominciata con Francesco Messina Denaro, morto da latitante, e proseguita dal figlio Francesco con un ruolo crescente e riconosciuto nella gerarchia della mafia. Non è il capo di Cosa nostra, come lo era stato Totò Riina di cui era il "pupillo", ma la provincia mafiosa di Trapani resta, secondo il generale del Ros Pasquale Angelosanto, saldamente nelle sue mani.
Il suo perdurante ruolo di primula rossa risponde anche a una visione criminale che viene dalla storia di famiglia e dal codice d’onore zelantemente rivendicato. Lo stesso boss lo spiega in una lettera all’uomo che per conto dei servizi lo aveva agganciato. "Non andrò mai via di mia volontà", scriveva. "Lo devo a papà e ai miei principi. Starò sempre nella mia terra fino a quando il destino lo vorrà e sarò sempre disponibile per i miei amici".
Se non fisicamente, la sua presenza nel territorio è assicurata dai suoi uomini di fiducia. Lo insegue una montagna di accuse, processi e condanne per le stragi Falcone e Borsellino del 1992 e per le bombe del 1993.
Dove si nasconde ora? Se lo chiedeva perfino Totò Riina intercettato mentre si confidava in carcere con il boss pugliese Alberto Lorusso. La voce che fosse morto era stata messa in giro da Marco Buffa, subito messo in guardia da Piero Di Natale: "Non parlare in giro di questo fatto che hai detto tu che è morto...". E in un’altra telefonata intercettata lo stesso Luppino aveva certificato: "È vivo e vegeto". Tanto vegeto che un produttore di vino di qualità, prima di esporre in una fiera il suo "Catarratto", era andato a prenderlo il giorno in cui era arrivato a Trapani.