Secondo la task-force che da 20 anni monitora costantemente il ghiacciaio del Massiccio, non era sostanzialmente possibile prevenire il disastro
Inutile cercare responsabilità, sperare che il disastro della Marmolada si potesse prevenire. Lo dicono gli esperti che da oltre 20 anni monitorano costantemente il ghiacciaio della Regina delle Dolomiti, e che costituiscono la "task force" interuniversitaria più competente in materia.
Prima del crollo di domenica, "non si sono osservati dei segnali evidenti di un collasso imminente", hanno scritto oggi. E "salvo rarissimi casi, nei ghiacciai, a differenza delle frane, non vi sono sistemi di allerta che misurano movimenti e deformazioni in tempo reale".
A parlare è il Gruppo di lavoro glaciologico-geofisico per le ricerche sulla Marmolada composto da Aldino Bondesan, dell’Università di Padova, responsabile del Comitato Glaciologico Italiano (Cgi) per il coordinamento della campagna glaciologica annuale nelle Alpi orientali, Roberto Francese, geofisico dell’Università di Parma e membro del Cgi, Massimo Giorgi e Stefano Picotti, geofisici dell’Istituto Nazionale di Oceanografia e di Geofisica Sperimentale (Ogs) di Trieste.
La Marmolada è sotto osservazione sin dai primi anni del secolo scorso da parte del Cgi – istituzione fondata nel 1895 – assieme ad altri 200 ghiacciai alpini.
È vero, in linea generale, che "il ritiro e il riscaldamento determinano un aumento della frequenza degli eventi, e in generale un aumento della pericolosità delle fronti glaciali", ed è vero che l’osservazione annuale di molti ghiacciai è stata recentemente abbandonata, proprio per l’incremento delle condizioni di rischio.
"Tuttavia – precisa il gruppo di ricercatori – non tutti i ghiacciai presentano le medesime condizioni di pericolo". Il distacco di seracchi è frequente "e fa parte della normale dinamica glaciale", ma "più raro è il caso di collassi in blocco come quello verificatosi in Marmolada".
Il crollo del 3 luglio ha interessato un "lembo residuale" del ghiacciaio centrale della Marmolada, una piccola nicchia sotto Punta Rocca, dove si era formata una sorta di "ghiacciaio sospeso". Tra la somma di cause che si può ipotizzare vi è l’inclinazione del pendio, un grande crepaccio che ha separato il corpo glaciale in due unità, l’aumento anomalo delle temperature e della fusione d’acqua all’interno del ghiaccio e della fronte glaciale, che ha fatto mancare sostegno alla massa sospesa.
Più in generale, il gruppo scientifico ritiene molto probabile che il ghiacciaio della Marmolada possa scomparire prima del 2040, in ogni caso improbabile che possa conservarsi oltre il 2060. "Solo pochi anni fa – notano gli esperti – i modelli prevedevano una vita del ghiacciaio per altri 100 o 200 anni". Sulla Marmolada si è già ridotto del 70% in superficie, e di oltre il 90% in volume in un secolo.
Le soluzioni sono poche: a lungo termine un accordo globale che consenta la riduzione dell’emissione di gas-serra per mitigare il riscaldamento terrestre. Nel breve-medio termine "si può solamente ricorrere a strategie di adattamento che consentano la razionalizzazione delle risorse e una maggiore efficienza nei processi industriali e nei modelli sociali".