Secondo le accuse dell’opposizione – impossibili da verificare – il religioso ortodosso avrebbe un patrimonio di quattro miliardi di dollari
In Russia li conoscono come "i due Vladimir di San Pietroburgo": il presidente Putin, fautore della rinascita della potenza russa, e il patriarca Kirill (al secolo Vladimir Gundjaev), sostenitore del ruolo di Mosca come Terza Roma nella difesa dell’ortodossia cristiana contro la decadenza occidentale, che in tale veste ha benedetto anche la guerra in Ucraina. Ma ad unire i due potrebbero essere presto anche le sanzioni europee.
Dopo aver preso di mira il capo del Cremlino, l’Ue ha infatti deciso di colpire anche le ricchezze del patriarca, che secondo le accuse dell’opposizione – impossibili da verificare – avrebbe un patrimonio di quattro miliardi di dollari.
La Chiesa ortodossa russa ha definito "un’assurdità" tali voci, che parlano di ville sul Mar Nero e yacht, conti bancari in Svizzera e orologi da decine di migliaia di euro. Oltre che le teorie sui metodi che avrebbero permesso al capo dei fedeli di tutte le Russie di accumulare una tale ricchezza. A partire da presunte esenzioni fiscali concesse dalle autorità di Mosca alla Chiesa sulla produzione di birra e tabacco. Le smentite non hanno convinto i funzionari europei, che si sono già messi a caccia delle proprietà da sequestrare.
La Chiesa ortodossa ha reagito affermando che il patriarca non si farà "intimidire" perché proviene da una famiglia di religiosi che per decenni è stata vittima della repressione dell’"ateismo militante comunista" senza per questo cedere. Anche questa un’affermazione su cui i detrattori esprimono dubbi. Kirill, che è nato nel 1946 nell’allora Leningrado (come Putin) e ha scalato la gerarchia ecclesiastica sotto l’Unione Sovietica, ha mantenuto buoni rapporti con le autorità di quel tempo, al punto da essere sospettato da alcuni di essere stato un vero e proprio agente al servizio del Kgb. Sicuramente non ha mai cercato di mettersi di traverso alle politiche dei leader sovietici, contribuendo così alla collaborazione fra Stato e Chiesa che si è affermata già negli anni precedenti alla caduta del comunismo.
Per molti anni prima di ascendere al patriarcato, nel 2009, Kirill ha intessuto buone relazioni con il mondo cattolico, svolgendo importanti incarichi nel dialogo ecumenico. Ciò che ha attirato su di lui le critiche degli ambienti ortodossi estremisti. Quella definizione di "chierichetto di Putin" usata da Francesco deve essergli quindi sembrata un tradimento ancor più bruciante. Ciò ha evidentemente contribuito all’attacco frontale lanciato dalla Chiesa russa al Papa, accusato di avere "travisato" la conversazione a distanza tra i due leader religiosi svoltasi il 16 marzo scorso e di ostacolare un "dialogo costruttivo".
Don Stefano Caprio, docente di Storia e Cultura russa al Pontificio Istituto Orientale di Roma, che per 13 anni è stato missionario a Mosca e più volte ha incontrato Kirill, dice all’ANSA che il patriarca, guidato dal suo fiuto politico, ha cercato per molto tempo di mantenere una posizione cauta rispetto alla linea del Cremlino. Almeno rispetto agli ambienti monastici più estremisti da cui proviene il padre Tikhon di Pskov, considerato la guida spirituale di Putin. Nel 2014, per esempio, il patriarca rifiutò di prendere parte alle celebrazioni per l’annessione della Crimea (al quale invece era presente l’arcivescovo cattolico Paolo Pezzi) nel timore di perdere il sostegno degli ortodossi ucraini. Ma l’approvazione per l’invasione dell’Ucraina è tornata a sancire la sua alleanza con Putin: "La Russia non ha mai attaccato nessuno", assicura Kirill. Semplicemente, "ha protetto i suoi confini".