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Viaggio tra chi cura le menti ferite dalla guerra

A Obolon, nei pressi di Kiev, c’è un centro medico che cura le sindromi da stress post-traumatico. Fu istituito nel 2019 per i veterani del Donbass

Soldati ucraini per le strade di Kiev
(Keystone)
6 maggio 2022
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In un sobborgo di Kiev, nel distretto di Obolon, vicino all’aeroporto di Hostomel, teatro da febbraio ad aprile scorso di cruenti combattimenti tra le forze aviotrasportate russe e l’esercito ucraino, si trova il Lisova Poliana War Veterans Hospital, il primo centro di trattamento medico per veterani che tratta le loro condizioni di salute mentale e gli effetti della Tbi (sindrome post-concussiva). Una condizione che migliaia di soldati hanno sperimentato dovendo stare per lunghi mesi sulla linea del fronte, soprattutto sotto bombardamento di artiglieria. Il centro medico è stato creato alla fine del 2019 dalla dottoressa Kseniia Voznytsina, neurologa, e da un team di psicologi, medici e avvocati.

L’edificio è un complesso grigio, ex centro per veterani dell’Afghanistan, diviso su più livelli con ambienti comuni e grandi spazi aperti dotati di strutture ricreative. Qui si effettuano sessioni di terapia individuale e di gruppo. Nel 2014, quando è iniziata la guerra nell’est del Paese, in Donbass, il disordine da stress post-traumatico (Ptsd), altra problematica che tocca anche i civili, era uno dei principali problemi da trattare. Il Ptsd è una forma di disagio mentale che si sviluppa in seguito a esperienze fortemente traumatiche. «In questo ospedale non curiamo solo traumi mentali derivanti dall’esposizione alla guerra ma organizziamo training specifici per il personale medico e ospitiamo specialisti provenienti da vari settori», dice la dottoressa Voznytsina. «Siamo diventati un polo di riferimento a livello nazionale, una piattaforma attraverso la quale medici da tutta l’Ucraina vengono per scambiare informazioni ed esperienze. La creazione di questo centro è stato un evento importante, perché i problemi legati ai traumi mentali sono sempre stati poco seguiti: nel biennio 2014-2016, abbiamo avuto moltissimi casi di lesioni cerebrali traumatiche, ma non c’erano programmi che ci dicessero come lavorare con questa sindrome e cosa fare con queste persone. Ai tempi non sapevamo diagnosticarlo».

Nella sala ricreativa, degli uomini giocano a biliardo. Alcuni, a scacchi. Altre persone, in una stanza vicino, stanno partecipando a un corso di arte terapia. Nel centro si trovano decine di persone. Molte di loro quando sono tornate alla loro vita civile hanno avuto problemi a reintegrarsi, depressione, alcolismo, istinti suicidi, comportamenti violenti. Esseri spezzati, rotti, incompresi, tenuti a distanza dalla società. «Ho avuto una lunga depressione durata cinque anni. Nel 2014 ero un volontario, sono stato ferito alla testa. Non mi ricordo bene cosa è successo. In seguito ho avuto una amnesia che è durata diciassette giorni». Kostja è originario della regione di Donetsk. Quando si è arruolato, non aveva neanche vent’anni. «Sono stato ad Avdiivka, Krimsky, Pisky e poi nella zona di Lugansk. Dovevamo imparare tutto al volo, non c’era tempo. O imparavamo o morivamo. Si diceva, tra di noi, che dovevamo essere ‘stupidi e coraggiosi nello stesso tempo’. L’anno scorso ho passato un mese in questa struttura seguendo varie attività. Adesso sono di nuovo qui. Mi sento molto meglio rispetto a prima, ho fatto dei progressi, sono stato in altri centri per il recupero dei veterani ma questo è il migliore».

Il battaglione degli Ospitalieri

L’appuntamento con Yana è nel centro di Kiev davanti alla Verchovna Rada, il parlamento ucraino. Poco distante, un uomo in completo, giacca e cravatta, prega davanti a un tabernacolo. Una ritualità elaborata, quella della preghiera ortodossa. Yana Zinchevych è un deputato. Ma questa veste, quella politica, è solo l’ultima parte della sua vita. Anche se su una sedia a rotelle, Yana è ancora un soldato. Durante la guerra del Donbass, quando aveva solamente diciannove anni, Yana si stava preparando per entrare alla facoltà di medicina dell’Università Nazionale di Leopoli. Scelse di aiutare i feriti sulla linea di combattimento. Nei primi anni di guerra i medici presenti erano pochi e i paramedici non erano stati addestrati per utilizzare nuovi strumenti salvavita. Così decise di fondare il battaglione degli Ospitalieri. Civili addestrati per operare in prima linea dopo un intenso addestramento. Paramedici militari. Lei e i suoi uomini e donne, hanno salvato migliaia di soldati dell’esercito ucraino e combattenti dei battaglioni volontari nei punti caldi e più pericolosi della guerra: Ilovaysk, Shyrokyne, Debaltseve, Pisky e l’aeroporto di Donetsk. La stessa Zinkevych ha salvato personalmente più di duecento persone. «Non è stato facile come donna, dover guidare decine e decine di uomini e riuscire a conquistare il loro rispetto. Quando è scoppiata la guerra noi donne abbiamo dovuto dimostrare non di essere brave quanto gli uomini, ma di essere più brave di loro. Solo così siamo riuscite ad andare in prima linea. Dimostrando di essere le migliori».

Acqua ed elettricità usate come armi

Yana vive solitamente in un albergo a poche decine di metri dal parlamento, così da poterlo raggiungere con facilità. Ma il suo cuore è a Pavlograd, dove si trova il comando del suo battaglione. È qui che centinaia di civili vengono formati. Nel dicembre 2015 è sopravvissuta a un terribile incidente stradale rimanendo per un lungo periodo in ospedale. L’incidente le ha provocato gravi lesioni alla spina dorsale, alle costole e interne. Per due mesi, i medici hanno cercato di sistemarle la schiena, spezzata in più punti. Poi un periodo di riabilitazione di sei mesi e nel frattempo anche la scoperta di essere rimasta incinta. Gestazione fortemente sconsigliata ma che lei decide di portare avanti. Fino alla nascita della figlia. Yana oggi è ancora su una sedia a rotelle, ma continua a essere il comandante del battaglione degli Ospitalieri. «Devo prendere psicofarmaci per i traumi che ho subito in guerra e per quelli relativi alla mia vita privata», racconta, ma «anche se non posso andare più in prima linea, continuo a occuparmi della logistica del battaglione. Organizzare il lavoro di seicento persone è impegnativo, ma questo è quello che posso fare adesso per il mio Paese». Per il suo lavoro Yana ha ricevuto quattro medaglie al valore. La sala dove si svolge l’intervista ha un balcone che si affaccia su un parco, in quel momento avvolto da uno strato di nebbia, la stessa che si ritrova a circa settecento chilometri di distanza, ad Avdiivka, una cittadina che si trova sulla linea del fronte da otto lunghi anni. Qui i soldati come in altre zone del fronte est, lungo circa 450 chilometri, devono restare per lunghi periodi. Sei, sette mesi almeno. In una sede di un’unità speciale di Polizia militare, gli uomini riposano sulle loro brandine. La camerata, una decina di letti con una rudimentale stufa a legna e un tavolaccio per mangiare, è stata ricavata dallo stanzone di un ex edificio pubblico. Ogni luogo di questo edificio amministrativo adesso ha una sua nuova funzione: fureria, armeria, cucina, bagni. Qui manca l’acqua, come in tutta la città, perché la sede dell’acquedotto si trova a Donetsk, la capitale dei separatisti filorussi e l’acqua non deve arrivare nei paesi, nelle città e nei villaggi sotto il controllo del governo ucraino. La guerra si fa anche così, privando le popolazioni civili dei bisogni primari: un tetto sopra la testa, del cibo, acqua corrente per lavarsi e per bere, l’energia elettrica. Nell’ospedale della città una parte del secondo piano è stata data ai paramedici del battaglione degli Ospitalieri. Sasha Andriyashina, un cappellano militare protestante dell’esercito ucraino si trova qui da cinque lunghi anni. «Porto la parola di Dio sulla linea del fronte, ai militari, e aiuto i civili insieme a dei missionari, portando loro cibo e aiuti di vario tipo», dice Sasha. Da quando è iniziata la guerra gira con il suo gatto e alcuni effetti personali stipati nel furgone. «Non sappiamo cosa potrà succedere da qui ai prossimi giorni, se la linea del fronte tiene o no. E quindi, se devo scappare, ho già tutto in macchina».

Chi sta per molto tempo al fronte, chi vive per necessità in una zona di guerra, e oggi lo è buona parte dell’Ucraina, inevitabilmente riporta dei traumi. «Nel mio libro, ‘Le ferite invisibili’, spiego che la guerra è il trauma più grosso che una persona possa provare come esperienza, molto più traumatica rispetto a un incidente o una calamità naturale», dice la dottoressa Kseniia Voznytsina. E questo trauma non tocca solo chi lo subisce in prima persona ma, in cerchi concentrici, tocca l’ambito familiare, gli amici, i conoscenti e quindi l’intera società. Possiamo dire che nel nostro Paese, in Ucraina tutti noi oggi siamo stati toccati da questo terribile trauma.

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