Il politico leghista è indagato per autoriciclaggio e falso nella voluntary disclosure per 5,3 milioni su un conto a Lugano poi ‘scudati’ nel 2015
La Svizzera dice no alla rogatoria inviata lo scorso marzo dai magistrati della Procura di Milano che indagano sui fondi esteri, già custoditi a Lugano, dal presidente lombardo Attilio Fontana. Lo scrive nelle pagine dell’edizione lombarda il quotidiano La Repubblica. Il politico leghista è indagato per autoriciclaggio e falso nella voluntary disclosure in relazione ai 5,3 milioni che erano depositati su un conto a Lugano e poi sono stati “scudati” nel 2015.
Sotto la lente dei pm milanesi ci sono in particolare i 2,5 milioni che considerano frutto di evasione fiscale. “Un tesoretto all’estero scoperto nell’ambito del procedimento sulla commessa da 513mila euro di 75mila camici che, in piena pandemia, erano stati forniti alla Regione Lombardia da Dama srl, l’azienda del cognato di Fontana, Andrea Dini – scrivono Sandro De Riccardis e Luca De Vito, che firmano l’ampio articolo –. Quando quella fornitura viene interrotta per evitare le polemiche sul conflitto d’interessi, Fontana decide di bonificare al marito della sorella 250mila euro da un conto svizzero gestito da una fiduciaria milanese e custodito – dal 1997 e fino allo scudo fiscale – in un doppio trust alle Bahamas”.
Nel corso dell’indagine le Fiamme Gialle del Nucleo valutario della Guardia di Finanza di Milano, coordinate dai pm Paolo Filippini, Carlo Scalas e Luigi Furno, scoprono i conti all’estero e inviano una rogatoria alle autorità di Lugano. Il presidente di Regione Lombardia, in tutte le sedi, si è difeso sostenendo che il denaro apparteneva all’anziana madre, Giovanna Maria Brunella, dentista di Varese, deceduta nel 2015, la cui firma compare in calce ai documenti della voluntary. Tanta disponibilità di denaro, per i magistrati inquirenti, era compatibile con l’attività della signora, titolare di uno studio dentistico. L’analisi grafologica della Procura ha invece evidenziato “la falsità della firma apposta”, come si legge nella rogatoria della Procura: da qui la rogatoria inviata alle autorità svizzere.
Richiesta rigettata. Perché? Scrive La Repubblica: “Da una parte il reato di evasione fiscale (ormai prescritto) non è riconosciuto dall’ordinamento svizzero, dall’altra la presunta firma falsa che per i magistrati integrerebbe la frode, non sarebbe sufficiente per la Svizzera, anche per l’assenza del reato alla base del presunto raggiro. Fontana avrebbe “falsamente dichiarato nel corso della procedura di collaborazione volontaria che il denaro detenuto all’estero sarebbe da ricondurre nella sua totalità all’evasione fiscale posta in essere dalla madre – avevano scritto i magistrati italiani – malgrado siano emersi plurimi elementi per ritenere che si sia trattato di provento (in tutto o in parte) riconducibile alla propria evasione fiscale”. Il rifiuto all’invio dei documenti rende quanto meno incerto l’esito del procedimento. Mentre per il caso “camici” si avvicina per Fontana il processo, con l’udienza preliminare fissata per il prossimo 18 marzo davanti al gup Chiara Valori: la Procura dovrà decidere se archiviare o proseguire nell’inchiesta sui milioni del governatore custoditi all’estero.