Estero

Venti di Guerra Fredda: autocrazie contro democrazie

Washington e Mosca si parlano ancora, ma i rapporti sono ai minimi. Ucraina e Taiwan i due tavoli su cui si giocherà il futuro della stabilità del pianeta

Nebbia sulla Piazza Rossa (Keystone)
4 gennaio 2022
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La Seconda Guerra fredda è dietro l’angolo. Venerdì 17 dicembre “l’ultimatum” - o perlomeno come è stato inteso nelle cancellerie dei riceventi - è stato consegnato agli ambasciatori occidentali, accreditati a Mosca. In breve: si pretende il ritorno in Europa centrale alla situazione militare del 1997; si propone di impegnarsi a non dislocare missili a medio e a corto raggio, come negli anni Ottanta; si mira di fatto a impedire che Stati sovrani facciano le proprie scelte in campo internazionale in nome della passata appartenenza sovietica.

Poche sono le possibilità che Stati Uniti, Unione europea e gli altri Paesi del G7 si pieghino a tali richieste. Le ferite ancora aperte dai dolorosi eventi ucraini del 2014 - con l’annessione della Crimea da parte di Mosca e lo scoppio del conflitto in Donbass -, la crisi energetica in corso - con prezzi a livelli stratosferici e con la questione del gasdotto Nord Stream 2 sotto al Baltico tuttora aperta - e le ultime dichiarazioni infuocate incidono e non poco su questa situazione.


Biden e Putin a Ginevra (Keystone)

Le telefonate tra i presidenti - l’americano Joe Biden e il russo Vladimir Putin - per gli auguri di fine anno, nonché il fitto calendario di incontri diplomatici tra il 10 e il 13 gennaio, indicano che le potenze, perlomeno, si parlano ancora.

Autocrazie (Russia e Cina), quindi, contro democrazie. Campi di battaglia, per adesso, dove mostrare i muscoli: Ucraina e Taiwan. Sterminata contiguità territoriale opposta a dominio quasi assoluto degli oceani. Revanchismo da post crollo dell’impero sovietico mischiato a volontà di nuova egemonia globale contro difesa dei valori democratici e liberali.

L’ultima volta i due schieramenti in lotta (comunista e capitalista) si affrontarono per 4 decenni militarmente in teatri terzi, spesso periferici, ma mai direttamente. Anche perché il rischio di apocalisse è reale. La deterrenza nucleare evitò follie. La potenza economica e quella tecnologica fecero, alla fine, la differenza.


Gorbaciov e Reagan nel 1985 (Keystone)

Fondamentalmente Mosca pretende soprattutto che gli occidentali non installino nel 2022 alcuni loro vettori, inseriti all’interno del cosiddetto “scudo anti-missilistico” in Polonia e in Romania, come previsto da tempo. Inoltre che le cosiddette “armi pesanti” della Nato anche in futuro rimangano dove si trovano e non si spostino verso Est, verso il confine russo.

Ma cosa succederà se la Russia non riceverà sufficienti assicurazioni? In tal caso ci sarà da attendere la prima mossa bellicosa: gli Stati Uniti credono che Mosca a breve attaccherà l’Ucraina, desiderosa di aderire alla Nato, già rifornita dalla Casa bianca di armi leggere e da Ankara dei super sofisticati droni turchi, capaci di fare la differenza in Nagorno-Karabakh qualche mese fa. I dispacci dell’intelligence Usa sono chiari: non lontano dalla frontiera sono pronti oltre 100mila uomini armati di tutto punto in attesa dell’ordine del Cremlino.

Kiev, dal canto suo, ha chiesto a Washington di essere equipaggiata anche con sistemi di difesa terra-aria e armi pesanti. Il suo esercito, si badi bene, non è quello disorganizzato e arrendevole del 2014 e, stando alle rilevazioni, la popolazione ucraina è pronta a difendersi in caso di invasione. Insomma, si rischia un bagno di sangue pauroso. Mosca vuole assicurazioni che la Casa bianca stia lontana da questo teatro. Così le diplomazie hanno organizzato d’urgenza tavoli negoziali per discutere delle richieste del Cremlino – che mira ufficialmente a garantirsi la sua sicurezza territoriale - e ha l’obiettivo di resuscitare il processo di Minsk per riportare la pace in Ucraina orientale, dove dal 2014 per una guerra congelata sono morte oltre 14mila persone e quasi 2 milioni sono gli sfollati.


I due alleati Xi Jinping e Putin (Keystone)

L’unica novità delle ultime ore è che la tradizionale neutrale Finlandia ha balenato anch’essa l’ipotesi di aderire alla Nato e la Svezia la potrebbe seguire a ruota. In sintesi anche loro, temendo il potente Vicino, si uniscono al fronte occidentale.

La prossima settimana inizieranno i negoziati. Alla loro conclusione, presumibilmente il 13 gennaio, il mantenere aperti canali di dialogo sarà vitale per evitare il disastro. Potrebbe non essere casuale che, all’improvviso, Papa Francesco si sia detto disposto ad andare a trovare a Mosca il “fratello”, Kirill, capo degli ortodossi russi. In caso di precipitare degli eventi - oltre a scontri tradizionali sul terreno, forse in teatri terzi, - è bene prepararsi ai conflitti del 21esimo secolo. Ossia a battaglie anche in altri campi: cibernetico (militare e civile), spaziale, comunicativo. Chi ha più fantasia la metta in azione per avvicinarsi alla nuova tragica realtà.

I settori finanziario ed energetico verranno di certo investiti dai belligeranti. Gli occidentali chiuderanno il sistema Swift, isolando il sistema bancario federale; i russi risponderanno bloccando o quasi le forniture d’energia. In breve, siamo davanti a un incubo. Lo spingersi troppo in là sul precipizio potrebbe riservare pessime sorprese.


Putin e Biden formato matrioska (Keystone)

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