Estero

Birmania: i militari massacrano decine di civili

Sarebbero almeno 38 le persone uccise e poi date alle fiamme nello stato Kayah, un’area dove è radicata la minoranza cristiana

(Twitter)
26 dicembre 2021
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Almeno 38 civili uccisi, gran parte dei quali ritrovati carbonizzati, in un’area dove è radicata la minoranza cristiana cattolica: il massacro di Natale di cui si è macchiato due giorni fa l’esercito birmano ha provocato sdegno sui social media e tra le organizzazioni coinvolte, a partire da Save the Children, che teme l’uccisione anche di due suoi dipendenti ancora dispersi.

In scia ad altre uccisioni di massa emerse fin da giugno, la strage è l’ennesima riprova della gravità della situazione nel Paese asiatico, dove l’esercito autore del golpe lo scorso febbraio impiega sempre più il pugno di ferro contro il dissenso.

Stavolta il massacro, nel quale secondo Save the Children sono morte almeno 38 persone tra cui donne e bambini, è avvenuto nello stato Kayah, nell’est del Paese: un’area dove da decenni la minoranza Karenni - in maggioranza cattolica - rivendica una maggiore autonomia. Ieri mattina, i resti carbonizzati di sette veicoli sono stati ritrovati nella cittadina di Hpruso. Tra i veicoli c’era anche quello di due birmani che lavoravano per Save the Children e stavano tornando a casa; l’organizzazione, che si è detta “inorridita”, ha sospeso tutte le sue operazioni nell’area ma anche in altre regioni birmane dove è attiva.

Secondo la milizia dei ribelli Karenni, le persone uccise erano civili che cercavano di mettersi in salvo dai combattimenti nella zona. Per l’esercito birmano, i militari hanno aperto il fuoco sul convoglio dopo che i veicoli non si erano fermati a un posto di blocco, sparando contro i soldati. I media statali hanno parlato di un numero imprecisato di “terroristi armati” uccisi nei villaggi della zona.

La strage ricorda quelle avvenute a luglio e ai primi di dicembre nel distretto di Sagaing e nello stato Chin, nel nord-ovest del Paese. Secondo il governo di unità nazionale del Myanmar - un esecutivo ombra formato dalle forze dell’opposizione democratica - i militari erano impegnati in una operazione di repulisti nell’area, la stessa strategia utilizzata per decenni contro diverse milizie etniche e nel 2017 responsabile dell’esodo in Bangladesh di oltre 700 mila Rohingya. In risposta al massacro, il governo di unità nazionale ha reiterato l’esortazione alla comunità internazionale ad agire contro “i crescenti crimini di guerra e contro l’umanità” della giunta del generale Min Aung Hlaing. Oltre ai massacri documentati da mesi, che hanno spinto l’Alto commissariato per i diritti umani dell’Onu a dirsi “sgomento davanti all’allarmante escalation di gravi abusi dei diritti umani”, nelle ultime settimane operazioni militari qualche centinaio di chilometri più a sud hanno spinto oltre cinquemila birmani a riparare oltre confine in Thailandia.

Con Aung San Suu Kyi già condannata a quattro anni e in attesa di altri processi, un dissenso schiacciato nel sangue nelle proteste in città e organizzatosi in resistenza armata nelle campagne, milizie etniche attive da decenni e ora a formare un fronte comune col resto dell’opposizione, l’impressione è che la spirale di violenza sia destinata a proseguire.

Onu: ‘Inorriditi dalla strage’

Il sottosegretario generale delle Nazioni Unite per gli Affari umanitari, Martin Griffiths, ha dichiarato di essere “inorridito” dalle notizie credibili secondo cui almeno 35 civili, tra cui forse due operatori umanitari, sono stati uccisi e i loro corpi bruciati in Birmania, e ha chiesto al governo di avviare un’indagine.

“Condanno questo grave incidente e tutti gli attacchi contro i civili in tutto il Paese, vietati dal diritto internazionale umanitario", ha dichiarato in una nota. "Chiedo alle autorità di avviare immediatamente un’indagine approfondita e trasparente sull’incidente”, ha affermato Griffiths, che ha sottolineato che due dipendenti dell’organizzazione no-profit Save the Children risultano dispersi dopo che il loro veicolo, insieme ad altri, è stato attaccato e bruciato in un attacco nello stato del Kaya orientale.

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