bielorussia

Diciotto anni di carcere al marito di Tikhanovskaya

L’ex blogger anti-Lukashenko Serghei Tikhanovsky condannato a 18 anni nel processo che lo accusava di aver fomentato disordini contro lo Stato

Serghei Tikhanovsky (Keystone)
14 dicembre 2021
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Una condanna spietata, esemplare. Che sa tanto di guanto di sfida all’Occidente. Serghei Tikhanovsky è stato condannato a 18 anni di carcere duro nel processo che lo accusava di aver fomentato disordini contro lo Stato. Ex blogger, Serghei era il vero candidato alle elezioni presidenziali del 2020, fondatore del movimento che voleva cambiare la Bielorussia e offrire un’alternativa all’eterno presidente-dittatore Alexander Lukashenko. E per questo è finito in carcere. Il suo posto allora lo ha preso sua moglie, Svetlana. Lei sì è stata ammessa alla corsa, il resto è storia. “Questa condanna è una vendetta di Lukashenko”, ha commentato Tikhanovskaya dopo il verdetto.

Una coppia pericolosa

Leader suo malgrado, Svetlana dopo il voto alle urne stravolto dai conteggi della Commissione Elettorale ha guidato la protesta scoppiata nelle piazze del Paese fino a che non è stata costretta a riparare in esilio con i suoi figli. “Il dittatore nasconde i prigionieri politici con i processi a porte chiuse e spera di continuare la repressione in silenzio“, ha scritto su Twitter Tikhanovskaya. “Ma il mondo intero lo guarda: noi non ci fermeremo”. L’Occidente ha infatti duramente condannato la sentenza (e quelle comminate ad altri cinque oppositori): per l’Alto rappresentante Ue Josep Borrell si tratta di sentenze "infondate" e "in flagrante violazione dei diritti umani e delle libertà fondamentali operata dal regime di Minsk”, mentre il segretario di Stato Usa Antony Blinken le ha bollate come “politicamente motivate” chiedendo a Lukashenko di cessare la “dura repressione” contro membri della società civile, i media indipendenti e gli avversari politici. "Né gli individui né il popolo bielorusso la meritano”, ha ammonito.


Svetlana Tikhanovskaya (Keystone)

L’eroina della rivoluzione - considerata evidentemente innocua dal regime, se non persino utile falso bersaglio, e per questo ammessa alle elezioni - non si era fatta grandi illusioni sull’epilogo del processo. “Sarà molto difficile accettare psicologicamente la condanna", aveva detto prima della sentenza. "Che si tratti di un anno, venti o cento: non è normale, è illegale, non si può tollerare. Io continuerò a mandargli le cartoline e i disegni dei bambini per fare un album commemorativo quando ci incontreremo”.

Altri 5 alla sbarra

Alla fine gli anni sono 18. E Serghei non è il solo. Imputati nello stesso processo ci sono altri cinque oppositori: Nikolai Statkevich, Igor Losik, Vladimir Tsyganovich, Artem Sakov e Dmitry Popov. Tutti puniti con condanne che vanno dai 14 ai 16 anni di carcere. La lista dei prigionieri politici in Bielorussia va così crescendo e si avvicina ormai a quota 900, stando ai calcoli del gruppo per i diritti umani Viasna (non a caso bollato come Ong ostile alla patria). Un fiume in piena e triste monito degli eccessi di Lukashenko, ormai disposto a tutto pur di restare in sella (o perlomeno gestire la transizione a se stesso da un punto di vantaggio).

La condanna-beffa giunge a pochi giorni dall’adozione da parte dell’Ue del quinto pacchetto di sanzioni, sull’onda dell’assalto ibrido con i migranti organizzato da Minsk al confine con la Polonia nelle scorse settimane. “Se saremo costretti, arriveremo a tagliare le forniture di gas all’Europa”, ha tuonato giusto ieri Lukashenko, alzando ancor di più l’asticella (si sa che il Cremlino non gradisce intromissioni nella delicata sfera del metano, di sua diretta competenza, oltre che proprietà). Ma il Cremlino, in questa fase, difende a spada tratta l’alleato, tanto più che ora si apre la difficile partita con Usa e Nato per la nuova sicurezza in Europa. Altri fronti non servono.

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