Estero

Il popolo saharawi in cerca della libertà

Dopo 30 anni di negoziati infruttosi, il conflitto ha ripreso nel Sahara occidentale. Intervista a Omeima Abdeslam dl Fronte Polisario

Manifestazione per il Sahara libero nel nord della Spagna, giugno 2021 (Keystone)
27 novembre 2021
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Per il secondo anno consecutivo, il Film festival diritti umani Lugano ha dato spazio alla realtà del popolo saharawi. Una realtà che, da un anno all’altro, è radicalmente cambiata poiché le armi hanno ripreso a parlare nel del Sahara occidentale, situato sulla costa atlantica, tra il Regno del Marocco al nord e la Mauritania al sud.

Approfittiamo della presenza a Lugano di Omeima Abdeslam, rappresentante del Fronte Polisario (Fronte Popolare di Liberazione di Saguía el Hamra e del Rio de Oro) in Svizzera e presso l’Onu a Ginevra, per approfondire la questione.

Signora Abdeslam, in quale contesto è nato e si situa il Fronte Polisario?

Nel 1963, nell’ambito del processo di decolonizzazione in Africa, l’Assamblea generale dell’Onu aveva sancito il diritto del popolo saharawi di accedere all’indipendenza e aveva poi incaricato la potenza coloniale, la Spagna, di organizzare il referendum per l’autodeterminazione. Dieci anni dopo, capendo che la Spagna non aveva l’intenzione di rispettare il mandato affidatole dall’Onu, il Fronte Polisario ha lanciato la lotta armata per la liberazione del popolo saharawi. Dopo il ritiro repentino della Spagna dal territorio nel 1976, il popolo saharawi ha dovuto opporsi all’invasione mauritana al sud e marocchina al nord. Se i mauritani si sono ritirati nel 1979, il Regno del Marocco continua a occupare militarmente gran parte del territorio.

Perché occupare un territorio desertico grande quanto il Regno Unito?

Storicamente, l’élite marocchina continua a vivere una frustrazione rispetto alla superficie che è stata loro attribuita nel processo di decolonizzazione, inoltre l’occupazione marocchina è nata dalla necessità di distrarre l’esercito che all’inizio degli anni ’70 aveva attuato tre tentativi di colpo di stato contro il re. Economicamente, il territorio del Sahara è ricco di materie prime, il fosfato in particolare che è un componente essenziale nella fabbricazione dei fertilizzanti. La costa atlantica del Sahara occidentale è considerata come una delle più pescose al mondo. Insomma, quando gli europei si mettono a tavola c’è una forte probabilità che, in un modo o nell’altro, usufruiscano di prodotti provenienti dal nostro territorio, senza che il nostro popolo ne abbia avuto beneficio alcuno. Mentre le compagnie straniere e quelle marocchine, comprese quelle appartenenti alla famiglia reale, si arricchiscono, il popolo saharawi vive nella miseria e subisce quotidianamente la violenza dell’occupazione.

Come si manifesta questa violenza?

L’occupazione marocchina ha provocato innumerevoli crimini di guerra e crimini contro l’umanità, alcuni dei quali perdurano, come sparizioni forzate, la tortura, la continua colonizzazione e lo spoglio illegale delle risorse naturali. Inoltre si manifesta con la separazione forzata del nostro popolo e l’arresto del suo sviluppo. Una parte del nostro popolo sopravvive da 45 anni nei campi rifugiati nel Sahara algerino grazie all’aiuto umanitario internazionale; la terza e quarta generazione cresce lì senza alcuna prospettiva d’avvenire. Per i saharawi che vivono nel territorio occupato, la violenza è presente attraverso tutto il ciclo della vita: assistenza medica lacunosa, insufficienza alimentare, negazione della cultura saharawi nell’educazione, studi superiori estremamente difficoltosi che precludono qualsiasi prospettiva di carriera. Chiunque manifesti contro l’occupazione viene arrestato e subisce diverse forme di violenza fisica e psichica, può essere condannato, anche a delle pene pesanti, nel corso di procedimenti giudiziari iniqui che anche i meccanismi di protezione dei diritti umani dell’Onu hanno condannato.

Quali disposizioni ha preso il Consiglio per i diritti umani dell’Onu di fronte a questa situazione?

Finora il Consiglio per i diritti umani non si è pronunciato sulle violazioni sistematiche dei diritti umani nel Sahara occidentale. Il Regno del Marocco ha sviluppato una diplomazia aggressiva di largo respiro a Ginevra, come a New York e a Bruxelles, in seno all’Unione europea, che gli permette di avere l’appoggio e anche la protezione delle antiche potenze coloniali, Francia e Spagna, ma anche degli Stati Uniti, di diversi Paesi africani e delle monarchie del Golfo. Fortunatamente, da qualche tempo diversi esperti indipendenti, facenti parte delle procedure speciali del Consiglio, si sono interessati alle violazioni dei diritti umani del popolo saharawi e le hanno denunciate, invitando il Regno del Marocco a porvi fine, a rimediare ai torti fatti, riabilitando le vittime e risarcendole. Ma le procedure del Consiglio non dispongono di meccanismi d’applicazione per cui le autorità marocchine, negando la realtà, continuano a reprimere, e ancor piú con la ripresa del conflitto lo scorso mese di novembre.

Perché è ripreso il conflitto armato ?

Alla fine degli anni Ottanta, con la caduta del muro di Berlino e la fine della guerra fredda, un vento di speranza si era levato anche nel Sahara occidentale e i nostri dirigenti hanno accettato di gelare il conflitto nella prospettiva dell’organizzazione in tempi brevi del referendum per l’autodeterminazione, grazie allo spiegamento nel 1991 della Missione delle Nazioni Unite per il Referendum nel Sahara occidentale (Minurso). Trent’anni sono passati e le grandi potenze di cui vi ho parlato prima continuano a sostenere militarmente, finanziariamente e politicamente l’occupazione illegale marocchina, provocando così la disperazione della gioventù saharawi che ha fortemente spinto per la ripresa del conflitto dopo decenni di lotta non-violenta infruttuosa. Oramai gli accordi del 1991 non hanno più alcun valore, l’inazione del Consiglio di sicurezza e dei Segretari generali che si sono susseguiti alla testa dell’organizzazione mondiale sono responsabili della situazione attuale. Devono assumersi le loro responsabilità e porre fine al conflitto nel quadro del diritto internazionale, tale come sancito dalla Carta e dalle risoluzioni delle Nazioni Unite, dalla Corte Internazionale di Giustizia e dalla Corte di Giustizia dell’Unione europea, portando a termine il processo di decolonizzazione del Sahara occidentale.

La Svizzera è candidata per diventare membro del Consiglio di sicurezza dell’Onu: quale ruolo potrebbe svolgere la diplomazia elvetica ?

La Svizzera ha una grande tradizione di buoni uffici, sviluppatasi sul principio della neutralità. Purtroppo, con l’arrivo di Ignazio Cassis agli Affari esteri, la diplomazia svizzera sembra più sensibile ai fasti dei palazzi di Marrakech che alle semplici, ma legittime pretese del popolo saharawi. Rispetto alle gravi violazioni delle Convenzioni di Ginevra, la Svizzera non fa nulla per imporre il rispetto del diritto internazionale umanitario nel Sahara occidentale. Ci aspettiamo dalla Svizzera che adotti una postura realmente neutrale e che possa far parte della soluzione piuttosto che del problema.

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