La Casa Bianca poi corregge il tiro: nessun cambiamento nella politica estera Usa. Ma Pechino si arrabbia comunque: ‘Segnali sbagliati’
Washington – Joe Biden lo va ripetendo ad ogni occasione: gli Stati Uniti non vogliono una nuova Guerra Fredda con la Cina. Ma la temperatura nei rapporti tra Washington e Pechino si fa sempre più gelida ogni giorno che passa, mettendo a rischio anche il summit virtuale tra l’inquilino della Casa Bianca e Xi Jinping, previsto entro la fine dell’anno. Nelle ultime ore a far tornare alle stelle la tensione tra le due superpotenze è ancora una volta la questione Taiwan: “Se sarà invasa la difenderemo”, ha promesso a chiare lettere Biden, parlando nel corso di un dibattito televisivo e provocando la reazione stizzita della leadership cinese. “Bisogna evitare di inviare segnali sbagliati. Su Taiwan non c’è spazio per alcun compromesso”, avvertono da Pechino.
Le parole del presidente americano, che mettono in discussione il principio di ‘una sola Cina’, acquistano più peso perché arrivano il giorno dopo quelle del neoambasciatore Usa Nicholas Burns, che in Congresso aveva definito la politica estera portata avanti dal Paese del Dragone “prepotente e aggressiva”. Non solo per le pressioni sempre più forti su Taipei, ma anche per le mire espansionistiche nel Pacifico e nel Sudest asiatico.
“Abbiamo preso un impegno preciso, per noi sacro – ha affermato Biden nel town hall organizzato dalla Cnn – ed è quello di difendere tutti gli alleati della Nato in Canada e in Europa. E questo vale anche per alleati come il Giappone, la Corea del Sud e Taiwan”. Subito dopo, però, la Casa Bianca si è affrettata a gettare acqua sul fuoco, e a specificare che nella politica estera statunitense non è previsto alcun cambiamento: si va dunque avanti con quella linea, definita “strategia dell’ambiguità”, finora seguita da Washington sulla questione Taiwan. Nel rispetto della legge (il Taiwan Relations Act) che prevede di sostenere gli sforzi di autodifesa dell’isola. Non a caso qualche settimana fa si è scoperto che uomini delle forze speciali Usa e dei marines sono da tempo a Taiwan per addestrare ed equipaggiare le forze locali.
Da Pechino comunque il portavoce del Ministero degli esteri Wang Wenbin fa trapelare come le bordate che arrivano dagli Usa non fanno altro che irrigidire la linea intransigente di Xi: “La Cina difenderà la propria sovranità nazionale e la propria integrità territoriale con tutte le misure adeguate e necessarie”, ha avvertito, lanciando un chiaro segnale non solo agli Stati Uniti ma a tutti quei Paesi che intendono stabilire o sviluppare rapporti diplomatici con Taiwan. Questo anche in vista della visita del ministro degli esteri taiwanese, Joseph Wu, che la prossima settimana sarà nella Repubblica Ceca e in Slovacchia. Intanto dal quartier generale della Nato arriva l’appello del segretario generale Jens Stoltenberg a ridurre le tensioni e a risolvere le controversie come quella di Taiwan con mezzi politici e diplomatici.
La preoccupazione è tanta, ma non è certo la prima volta che un presidente americano minaccia di intervenire nel caso di un’aggressione cinese a Taiwan. Lo fece anche George W. Bush nel 2001, anche se oggi il clima è molto più rovente di allora, col ministro della difesa di Taipei, Chiu Kuo-cheng, che denuncia una tensione nello stretto di Taiwan mai così alta da 40 anni a questa parte.