Tra le vittime anche bambini e militari Usa. Dietro l’attentato l'ombra dell’Isis-K
Kabul – A poche ore dall’allerta attentati lanciato dagli 007 occidentali, due forti esplosioni hanno squassato l’aeroporto di Kabul uccidendo decine di civili, tra cui bambini, e almeno dodici militari americani. È così che il caos delle ultime ore delle operazioni di evacuazione è precipitato nell’orrore, con un bilancio che in serata parlava di almeno 60 morti e oltre 140 feriti. Un attentato "complesso", secondo le ricostruzioni, nella zona dell’Abbey Gate, area controllata dalle truppe Usa e britanniche dove, al momento dell’attacco, erano ammassate almeno 5'000 persone in attesa di conoscere il proprio destino.
La prima esplosione è stata opera di un kamikaze che si è fatto saltare in aria fuori dal Baron Hotel, la base di giornalisti e truppe del Regno Unito. Quindi un altro kamikaze, o un’autobomba secondo altre fonti, più vicino al gate, in prossimità di un canale fognario diventato la sala d’attesa di migliaia di disperati. Lì centinaia di famiglie aspettano un cenno dai militari. Da lì i soldati si affacciano per tirar su quelli che saranno imbarcati sui voli verso una nuova vita. Lì gli attentatori hanno colpito.
Il bilancio di almeno 60 civili afghani morti è stato diffuso in serata dal Wall Street Journal che citava fonti mediche. Dodici i militari americani che hanno perso la vita, tra cui un medico della Marina. Mentre a parlare di bambini tra le vittime sono stati i talebani. I medici dell’ospedale di Emergency a Kabul hanno riferito di dieci persone arrivate morte nella loro struttura e oltre 60 ricoverati.
Il racconto dei testimoni nella capitale afghana è agghiacciante. Cumuli di cadaveri, brandelli di corpi nel canale ricoperto di sangue. Un ex interprete dei marines Usa ha raccontato di aver visto morire tra le sue braccia una bambina di 5 anni. Le immagini e i video circolati sui social media mostrano feriti trasportati a bordo di carriole sgangherate con l’incessante ululato delle ambulanze in sottofondo. "È stato come il giorno del giudizio universale, persone ferite ovunque. Ho visto persone correre con il sangue sui loro volti e sui loro corpi”, ha raccontato un altro testimone.
Poco prima che scoppiasse l’inferno, un C-130 italiano con a bordo anche alcuni giornalisti era decollato tra i proiettili: erano di una mitragliatrice afghana che sparava in aria per disperdere la folla che pressava verso il gate dell’aeroporto ma a bordo si sono vissuti attimi di terrore. Non c’è stata una rivendicazione dell’attacco ma americani e britannici sono certi che sia stato opera dell’Isis-K, lo Stato Islamico della provincia afghana del Khorasan, il gruppo affiliato all’Isis nemico di Al Qaida e dei talebani. Loro, i nuovi padroni dell’Afghanistan, hanno condannato l’attacco scaricando la responsabilità sugli Usa: "È avvenuto in una zona dove la sicurezza è nelle loro mani”, ha detto il portavoce Zabihullah Mujahid, assicurando che i talebani “stanno prestando molta attenzione alla sicurezza e alla protezione della loro gente” e che i nemici saranno fermati. Ma il rischio di altri attentati nei prossimi giorni è concreto e già in serata si è udita un’altra esplosione a Kabul.
Non è chiaro come tutto questo condizionerà le operazioni di esfiltrazione ancora in corso. Il premier britannico Boris Johnson, dopo una riunione del comitato d’emergenza Cobra, ha assicurato che l’evacuazione proseguirà come previsto. Anche il presidente francese Emmanuel Macron, pur riconoscendo che le prossime ore saranno “estremamente rischiose”, ha garantito che le evacuazioni continueranno fino al 31. Altri Paesi, come il Canada e la Germania, hanno già lasciato l’Afghanistan. Oggi si concluderà anche il ponte aereo italiano.
Per Joe Biden sono le ore più difficili e drammatiche. Di fronte a lui lo scenario più tragico che poteva scaturire dalla crisi afghana e dalla sua irrevocabile decisione di abbandonare il Paese entro il 31 agosto. Tra i repubblicani cresce il fronte di chi invoca l’impeachment, se non addirittura le dimissioni immediate. Tra questi ultimi Donald Trump: “Non dovrebbe essere un grosso problema dal momento che non è stato eletto legittimamente”.
"L’evacuzione andrà avanti, ma gli Usa sono determinati a vendicare gli attentati dell’Isis", assicura il Pentagono. Sul tavolo le diverse opzioni che, secondo gli osservatori, potrebbero andare da un completamento dell’evacuazione entro il 31 agosto come previsto a una reazione Usa sul campo contro un attacco che nelle ultime ore era stato ampiamente annunciato. Uno scenario quest’ultimo problematico, visto il controllo del potere a Kabul ormai nelle mani dei talebani e la difficoltà di individuare degli obiettivi tra i militanti dell’Isis probabili autori dell’attentato.
Non serve una rivendicazione formale: secondo le intelligence occidentali e i talebani c’è chiaramente l’Isis dietro al massacro di Kabul, arrivato dopo reiterati allarmi sull’afflusso di combattenti jihadisti nella capitale afghana. Eppure fino allo scorso anno si riteneva che la costola asiatica dell’Isis, la Provincia del Khorasan (l’antico nome persiano del territorio che dall’Iran abbraccia Afghanistan e Pakistan), protagonista di decine di scontri armati con gli ex governativi e i talebani e responsabile di un numero impressionante di omicidi mirati, fosse stata disarticolata, potendo oramai contare solo su una manciata di operativi.
Nel maggio del 2020 le forze afghane catturano il capo dell’organizzazione, Zia-Ul-Haq, noto come Abu Omar Khorasani. Dal 2015, anno di fondazione del gruppo nato dalla fusione tra una costola del Ttp pachistano e alcuni fuoriusciti talebani, l’organizzazione ha perso ben sei leader, tutti uccisi o catturati, e oltre 550 ufficiali. Insomma, sembrava un capitolo chiuso nel processo di orientalizzazione dell’Isis iniziato dopo le cocenti sconfitte in Medio Oriente e Nord Africa, che hanno spinto l’organizzazione a ricostituirsi tra le montagne afghane. Un fenomeno che ha determinato non solo l’arrivo di decine di reduci nelle province remote dell’Afghanistan e del Pakistan, ma anche un afflusso costante di migliaia e migliaia di dollari. Poi è arrivato lo "straniero": lo scorso anno l’Isis - attraverso un organo di propaganda nato per l’occasione, radio Voice of the Khorasan - nomina leader tal Shabab al-Muhajir, il primo capo non afghano o pachistano. Sarebbe nato in Siria o Iraq e avrebbe un passato da combattente tra le file di al Qaeda. Il profilo delinea una personalità senza scrupoli, un veterano esperto soprattutto nei combattimenti in aree urbane. E proprio a lui sarebbe da imputare la resurrezione dell’Isis.
Muhajir esordisce con un attacco tragico quanto spettacolare alla prigione di Jalabad, un assalto che dura oltre 20 ore e porta alla liberazione di centinaia di prigionieri, in gran parte jihadisti, ma anche talebani. Ma il gruppo non tarda a svelare la sua natura più feroce e sanguinaria che si abbatte su tutti gli avversari, dai soldati ai talebani, dagli sciiti alle minoranze: lo scorso 8 maggio vengono massacrate oltre 85 studentesse, colpevoli solo di appartenere all’etnia Hazara. I jihadisti indisturbati attaccano con autobomba e Ied la scuola Sayed al-Shuhada a Kabul, dimostrando di essere perfettamente in grado di colpire la capitale, come accaduto ieri.