Estero

L’Ungheria provoca: ‘Nel 2030 noi fuori dall’Ue’

Dopo le polemiche per le leggi omofobe, Budapest minaccia di uscire nell’anno in cui dovrebbe iniziare non solo a ricevere, ma a pagare contributi europei

Viktor Orban (Keystone)
3 agosto 2021
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Nella battaglia a distanza con Bruxelles, ora l'Ungheria evoca anche la possibilità di riconsiderare la sua adesione all'Unione europea. Una Unghexit, ma tra qualche anno, intorno al 2030, quando per Budapest non sarà più conveniente restare nell'Ue, perché da Stato beneficiario dei ricchi aiuti a fondo perduto si stima possa diventare un contributore netto. Vale a dire uno di quei Paesi che come Italia, Francia, o Germania, mettono mano al portafogli, per versare al budget comunitario più di quanto ricevono.

La provocazione

Ma più che una minaccia di abbandono, questa nuova uscita magiara ha il gusto della provocazione, considerato che il prossimo aprile Viktor Orban e il suo partito, Fidesz, dovranno affrontare elezioni politiche che potrebbero rivoluzionare completamente la situazione. A parlare dell'ipotesi, in un'intervista alla tv ungherese Atv, è stato il ministro delle Finanze, Mihaly Varga.

Un po' a sorpresa, dato che l'economista ha fama di essere una delle voci più moderate della compagine di Orban. La questione della permanenza nell'Unione "potrebbe assumere una nuova prospettiva nel momento in cui prevediamo di diventare contributori netti", intorno al 2030. Uno scenario di divorzio che potrebbe avverarsi soprattutto "se gli attacchi di Bruxelles proseguiranno su scelte di valori".

Ad accrescere i toni dello scontro è intervenuta poi una nuova iniziativa del governo, una decisione firmata dal premier e pubblicata nella Gazzetta ufficiale, in cui si respingono con forza gli addebiti della Commissione europea sui deficit democratici nel Paese, accusando l'Esecutivo comunitario di "pressioni" e "doppie misure" sullo stato di diritto.

Il documento

Il documento è stato diffuso via Twitter in inglese, francese e tedesco dalla guardasigilli Judit Varga. "L' Ungheria - ha insistito la ministra - ha subito un attacco senza precedenti, solo perché la protezione dei bambini e delle famiglie è la nostra priorità e, a questo proposito, non vogliamo che la lobby Lgbtq entri nelle nostre scuole e asili". Il riferimento è alla legge che discrimina contro la comunità arcobaleno equiparando gli omosessuali ai pedofili, e oggetto di una procedura di infrazione europea. Un'iniziativa accolta con un 'no comment' da Bruxelles.

Ma sullo sfondo di questi nuovi attacchi c'è soprattutto il disappunto di Budapest per il mancato via libera al piano nazionale per il Recovery (Pnrr), per accedere a 7,2 miliardi di finanziamenti a fondo perduto. Soldi importanti anche in vista della campagna elettorale.

Palazzo Berlaymont non lo sbloccherà almeno fino al 30 settembre. "Speriamo che le nostre risposte alle osservazioni siano convincenti", ha auspicato il ministro delle Finanze, chiarendo che comunque l'Ungheria è pronta a fare da sé. In attesa dell'approvazione del Pnrr, il programma di ripresa del Paese sarà finanziato dal bilancio nazionale, anche se l'impasse dovesse protrarsi fino al 2022.

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