Il governatore lombardo è indagato con l'accusa di frode in pubbliche forniture, autoriciclaggio e falso nella voluntary disclosure per i fondi in Svizzera
''Anteponevano all’interesse pubblico, l’interesse e la convenienza personali del Presidente di Regione Lombardia''. È quanto scrive la Procura di Milano nell'avviso di chiusura dell’inchiesta sul caso Camici: l’affidamento del 16 aprile 2020 della fornitura da oltre mezzo milione di euro di camici e altri dispositivi di protezione individuale a Dama, società di Andrea Dini, cognato del governatore lombardo. Gli indagati sono Attilio Fontana, Andrea Dini, Filippo Bongiovanni (ex dg di Aria), una dirigente della centrale acquisti regionale sono accusati di frode in pubbliche forniture, così come Pier Attilio Superti, vicesegretario generale della Regione, nuovo indagato. Per l’accusa ci fu un “accordo collusivo intervenuto ”tra Andrea Dini, patron di Dama spa, “e Fontana”, suo cognato, “con il quale si anteponevano all’interesse pubblico, l’interesse e la convenienza personali del Presidente di Regione Lombardia“, il quale da “soggetto attuatore per l’emergenza Covid” si “ingeriva nella fase esecutiva del contratto in conflitto di interessi” sull’ormai nota fornitura trasformata in donazione. E ancora: la “frode” nella pubblica fornitura di camici e altri dpi, contestata dalla Procura di Milano, venne messa in atto “allo scopo di tutelare l’immagine politica del Presidente della Regione Lombardia Fontana, una volta emerso il conflitto di interessi derivante dai rapporti di parentela” con Andrea Dini, titolare di Dama spa, società di cui la moglie di Fontana, Roberta Dini, aveva una quota del 10%.
L’avviso di conclusione delle indagini è stato notificato dal Nucleo speciale di polizia valutaria della Gdf nell’inchiesta coordinata dall’aggiunto di Milano Maurizio Romanelli e dai pm Paolo Filippini, Luigi Furno e Carlo Scalas. L’inchiesta, appena chiusa, vede al centro l’ormai nota fornitura di dispositivi di protezione individuale, tra cui appunto 75mila camici, da consegnare in piena pandemia alla Regione. Ne vennero consegnati in realtà da Dama solo 50mila, perché nel frattempo, quando venne a galla il conflitto di interessi, la fornitura fu trasformata in donazione. E con la conseguenza che l’ordine non venne perfezionato per la mancata consegna di un terzo del materiale e da qui, in sostanza, l’accusa della Procura di frode in pubbliche forniture. Vicenda, poi, che – stando a quanto ricostruito nell’indagine – avrebbe visto l’intervento del presidente della Lombardia con il tentativo di risarcire, per il mancato introito, il cognato con un bonifico di 250mila euro da un conto in una banca di Lugano, poi bloccato in quanto segnalato dalla Banca d’Italia come operazione sospetta. Da qui è scaturita pure un’indagine autonoma per autoriciclaggio e falso in voluntary su Fontana. Il governatore ha sempre ribadito la correttezza del proprio operato e, attraverso i suoi legali, ha depositato anche documenti e memorie per difendersi. Entro la fine dell'estate la Procura milanese deciderà sulla richiesta di rinvio a giudizio per portare il caso in udienza preliminare davanti ad un gup, che si esprimerà sul rinvio a giudizio o l'assoluzione degli cinque indagati eccellenti.