Estero

Il nuovo fronte israeliano: la guerra ai gelati Ben&Jerry's

La società americana, sempre attenta al sociale e fondata da due ebrei, dice stop alle vendite nei territori palestinesi occupati. Tel Aviv risponde: ‘Boicottaggio’

Uno stabilimento Ben&Jerry's (Keystone)
20 luglio 2021
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Elmetto e coppetta, Israele va alla guerra del gelato con Ben&Jerry's, lo storico marchio americano fondato – ironia della sorte – da due ebrei. Ben Cohen e Jerry Greenfield, aprirono il loro primo negozio il 5 maggio del 1978 in un’ex stazione di servizio di Burlington, Vermont, la stessa città di un altro ebreo americano illustre, Bernie Sanders. Nemmeno due mesi prima Israele aveva invaso il sud del Libano. Da quei giorni Ben&Jerry’s non ha più smesso di fare gelati, Israele non ha praticamente più smesso di fare la guerra.

Spaventati da iraniani, libanesi e palestinesi, a Tel Aviv tutto si aspettavano fuorché dover battagliare con altri ebrei. Ma i vertici di Ben&Jerry’s hanno preso una decisione che può sembrare bizzarra solo agli occhi di chi non li conosce. Infatti, "in ossequio ai propri valori" di carattere progressista ed egualitario, fra un anno e mezzo non venderanno più i loro prodotti nei "territori palestinesi occupati". Costringendo così migliaia di israeliani che risiedono negli insediamenti della Cisgiordania a fare a meno delle loro celebri e amatissime coppette di gelato. Carte geopolitiche alla mano, almeno per B&J's, quegli israeliani vivono fisicamente fuori dai confini di Israele.

La società ha deciso di mantenere invece la regolare distribuzione entro i cosiddetti "confini israeliani del 1967", tenendo il punto e muovendosi in un territorio minato, toccando uno dei nodi più controversi della questione israelo-palestinese. La reazione del nuovo governo di Naftali Bennett non si è fatta attendere e la questione, toni compresi, viene trattata come un caso diplomatico internazionale: eppure dall’altra parte non c’è Teheran, ma due gelatai di Burlington che hanno fatto fortuna partendo da un corso per corrispondenza da 5 dollari. "Questa decisione è un errore morale, un episodio di antisemitismo. Il boicottaggio di Israele, un'isola di democrazia circondata da terrorismo, riflette un disorientamento assoluto. Il boicottaggio non funzionerà. Siamo determinati e combattere".


I due fondatori nel 1979 (Keystone)

Combattere, boicottaggio: c’è un linguaggio di guerra, da Operazione gelato sfuso. Bennett ha anche chiamato il direttore di Unilever (il gruppo cui fa capo B&J's) per avvertirlo della gravità della vicenda, come si alza la cornetta e si chiama la Casa Bianca, il Cremlino, due ottimi nomi - tra l’altro - per lanciare un prossimo gelato. Di nomi e gusti strani da Ben&Jerry’s se ne intendono. La loro vena irrituale, quasi artistica è sempre stata il loro marchio di fabbrica. Per festeggiare il primo anno di successi, nel 1979, iniziarono a regalare palline di gelato ai clienti. E così fanno ancora oggi, una volta l’anno. Hanno creato, nel 1987, il primo gusto ispirato a un cantante, il Cherry Garcia (omaggio al Jerry Garcia dei Grateful Dead), continuando a sperimentare nei nomi e nei gusti a tal punto che qualcosa, nel mucchio, doveva pur andar storto. Per quei gelati che non ce l’hanno fatta - caduti sotto i colpi della concorrenza o delle papille gustative altrui - accanto allo stabilimento principale, in Vermont, c’è un cimitero con tanto di lapidi (in resina), nome del gelato, anno di nascita e di morte, e perfino una sorta di epitaffio: lì giacciono – tra gli altri – il Chocolate Comfort e l’Holy Cannoli.

Ben&Jerry’s al di là delle bizzarrie al confine tra gioco e marketing, ha sposato in tempi non sospetti campagne sociali e ambientali di ogni genere. Ha rifiutato il latte di mucche trattate con ormoni quando tutta l’America si riempiva il frigorifero, ha sostenuto i manifestanti di Occupy Wall Street a parole, con i comunicati, e con i fatti, recapitando loro gelati gratis. Ha fatto campagne contro le trivellazioni, contro gli Ogm e aderito a quelle per il commercio equo e sostenibile. Non saranno dei santi, ma hanno ottenuto - una volta comprati da Unilever - di avere sempre l’ultima parola sulle questioni sociali e morali. La mossa che Israele dipinge come antisemita è solo la prosecuzione di una strada imboccata tempo fa, basata su una società più equa.

Non a caso, da Ramallah, il presidente dell'Anp Abu Mazen si è congratulato per la scelta esemplare "della legalità e della moralità" fatta dai re del gelato. Ne parlano tutti, a tal punto che ieri mattina, sui giornali, il Paese pieno di nemici, ne scopriva all’improvviso un altro. Ecco così Mariv che titola “Il boicottaggio del gelato” e poi ancora “Un gelato al gusto amaro” (Israel ha-Yom) e "La tempesta del gelato" (Yediot Ahronot).

Il caso, nemmeno a dirlo, ha spopolato pure sui social. Grande successo ha ottenuto un filmato che riprendeva una ministra aprire in maniera ostentata il frigorifero di casa e gettare nell'immondizia una confezione del gelato divenuto ora per lei indigesto. Anche l’ex premier recentemente sconfitto che prova in tutti i modi a fingere di essere ancora al governo, Benjamin Netanyahu, ha minacciato gli americani. Per di più ebrei. Il mondo al contrario.

Una volta che erano tutti d’accordo sul boicottaggio, ci si è poi resi conto che a pagare il conto non sarebbe stata la casa madre, che ha punti vendita ovunque, ma i 160 dipendenti dello stabilimento israeliano di Beer Tuvya, che davanti a un crollo della domanda rischierebbero il licenziamento. Insomma, Israele, grande maestro nella gestione degli ostaggi, pare incastrato.

La situazione si fa sempre più ingarbugliata e il cerino è rimasto in mano ad Avi Singer, detentore locale della licenza, che può diventare un eroe nazionale, un venduto o tutto quello che ci passa in mezzo. La legge israeliana gli vieta di discriminare fra i cittadini israeliani (dei palestinesi, come sempre, non frega nulla a nessuno) e quindi sarebbe tenuto a fornire loro lo stesso trattamento ovunque risiedano. Ma chi lo paga non vuole. Un bel caos nella terra dei caos. Sarebbe quasi da fermarsi un attimo e prendere un gelato. Bisogna solo capire quale.


I due fondatori Cohen e Greenfield manifestano contro la guerra civile in Sudan (Keystone)

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