Dopo il faccia a faccia con Putin a Ginevra il presidente americano cerca il dialogo con i cinesi
Messi a segno la missione europea e il summit con Vladimir Putin, ora Joe Biden vuole parlare faccia a faccia con Xi Jinping, forse al summit G20 di fine ottobre a Roma sotto la presidenza italiana. Ad annunciarlo è stato il consigliere per la sicurezza nazionale Jake Sullivan, dopo che Pechino è diventato ormai l'avversario strategico numero uno degli Usa, il competitor più temibile del XXI secolo.
Il presidente "intende fare il punto sulla situazione" perché "niente sostituisce il dialogo a livello di dirigenti", ha spiegato Sullivan. "È solo una questione di sapere quando e come", ha proseguito, ricordando che i due leader parteciperanno con ogni probabilità al prossimo vertice G20. Ma per adesso non è stata presa alcuna decisione e tutte le opzioni sono sul tavolo: "Potrebbe essere una telefonata, un incontro a margine di un altro summit internazionale o qualcos'altro".
Finora Biden e Xi si sono scambiati solo una tesa telefonata di due ore a metà febbraio, il primo denunciando le politiche aggressive della Cina e la violazione dei diritti umani, il secondo difendendo la sovranità cinese e pretendendo rispetto. Sono seguite alcune deludenti prove di dialogo, con il primo burrascoso vertice di metà marzo in Alaska tra i rispettivi ministri degli Esteri e consiglieri per la sicurezza nazionale, e poi a fine maggio una telefonata tra i responsabili commerciali sui dazi. In mezzo il vertice mondiale virtuale sul clima organizzato dalla Casa Bianca, con l'impegno di Xi a collaborare ma senza che ci fosse alcun bilaterale.
Pechino spinge da mesi per un summit con Biden e avrebbe voluto che avvenisse prima di quello con Putin, per ribadire i nuovi rapporti di forza tra le due superpotenze, anche in vista delle celebrazioni dei 100 anni della fondazione del Partito comunista cinese che cade il primo luglio. Invece il commander in chief ha seguito una strategia e una coreografia ben precisa per arrivare al confronto con Xi da una posizione di forza, come con lo zar. Prima ha ricevuto alla Casa Bianca i leader dei Paesi asiatici alleati (Giappone e Corea del sud). Poi per il suo primo viaggio all'estero ha scelto l'Europa, dove al G7, alla Nato e nel vertice con la Ue ha allineato l'Occidente contro la minaccia russa e, per la prima volta, contro quella cinese. Pechino è stata messa all'angolo, con la denuncia sulla violazione dei diritti umani nello Xinjiang e a Hong Kong, e con la richiesta di un'indagine trasparente sull'origine del Covid.
La missione è stata suggellata dal summit offerto a Putin per ristabilire il dialogo e incunearsi nell'alleanza sino-russa, sempre più soffocante per Mosca. Pechino ha capito l'antifona ed è preoccupata. Biden ha già messo in chiaro che non cerca lo scontro con il Dragone ma pretende una competizione leale, in una sfida che a suo avviso è tra democrazie e autocrazie o dittature. I terreni di possibile cooperazione non mancano: clima, non proliferazione, pandemia. Ma sono molti di più quelli di scontro: le pratiche commerciali sleali che penalizzano lavoratori e industrie americane, il furto di proprietà intellettuale, i cyber-attacchi, la militarizzazione del mare della Cina meridionale e tutto il capitolo sui diritti umani.
I due leader hanno alle spalle un rapporto fatto di intense relazioni che risalgono all'era Obama, con faccia a faccia durati ore e ore quando tutto sembrava davvero pronto per aprire una nuova era tra le due superpotenze, quella del G2. "Ci conosciamo bene ma non siamo amici, è puro business", ha avvisato Biden. Intanto il leader di Pyongyang Kim Jong-Un, sempre più in difficoltà in patria dopo aver perso la battaglia del grano, ha lanciato un nuovo messaggio a Biden nella plenaria del Comitato centrale del partito dei lavoratori, ammonendo che bisogna "prepararsi sia al dialogo che allo scontro, in particolare essere pienamente pronti allo scontro".