Estero

Usa-Russia: la guerra non è poi così fredda

Il summit di Ginevra porta con sé pochi risultati, ma i rapporti tra Biden e Putin sembrano meno ostili: resta il nodo diritti umani, il cui simbolo è Navalny

Putin e Biden a Villa La Grange, a Ginevra (Keystone)
16 giugno 2021
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A volte basta telefonarsi e scendere giù al bar, a volte bisogna smuovere le diplomazie di mezzo mondo, prendere un aereo presidenziale e atterrare in Svizzera. Ma il succo non cambia: chiarirsi guardandosi in faccia serve sempre. Joe Biden e Vladimir Putin si guardavano in cagnesco già ai tempi in cui l’attuale presidente americano era il vice di Barack Obama. Ma basta aprire Youtube per vedere cosa fanno due cani che ringhiano separati da un cancello, una volta che il cancello si è aperto: smettono di ringhiare, si avvicinano e si annusano. Passando a paragoni meno animaleschi, è come quando siamo nel traffico, la macchina che guidiamo e il finestrino fanno da schermo: aumenta l’aggressività e c’è chi si lascia andare a qualche parola di troppo se qualcuno fa un sorpasso azzardato. Poi scendi e non è che spacchi il cric in testa al primo che passa. Soprattutto se il primo che passa si chiama Joe Biden o Vladimir Putin. E non stai guidando un’utilitaria, ma una superpotenza mondiale.

In un’epoca di pandemie e insulti facili via web - compresi quelli dell’ex presidente americano Donald Trump, bandito dalle piattaforme che contano per il suo uso disinvolto dei social - un faccia a faccia che non finisce a pesci in faccia può fare, se non storia, come gli incontri Gorbaciov-Reagan, almeno notizia.

Temperatura in rialzo

Risultati concreti: pochi. Verrebbe da dire nessuno. Nulla che possa farci saltare sulla sedia. Perché, diciamolo, la chiamiamo nuova Guerra Fredda, ma la temperatura non è così glaciale come quando c’era quell’ingombrante freezer chiamato Muro di Berlino.

Chi aspettava comunicazioni ufficiali roboanti è stato deluso, ma ricordiamoci da dove partivamo. Biden che, esattamente due mesi fa dava, senza troppi giri di parole, dell’assassino a Putin in un’intervista tv. E Putin che ritirava l’ambasciatore mentre un suo uomo di fiducia dava degli “isterici” agli americani. Questo era lo scenario nel momento in cui i due sono partiti per Ginevra, ulteriormente infiammato dal tour europeo di Biden, che tra G7 e Nato ha dispensato più schiaffi che carezze ai russi.


Blinken, Biden, Putin e Lavrov durante l'incontro (Keystone)

A Villa La Grange i duellanti hanno stabilito una linea di dialogo e concordato - seppur tra mille distinguo - un principio di collaborazione: dal ritorno dei rispettivi ambasciatori alle consultazioni contro i cyber attacchi sino all'avvio di negoziati sul disarmo. E una dichiarazione comune (non prevista inizialmente) sulla stabilità nucleare, con tanto di promessa di non scatenare guerre atomiche. Che è un po’ il minimo sindacale.

Sui diritti umani, nemmeno quello. Putin non accetta lezioni, gli americani provano a darle, dimenticando sempre quanto traballa il loro pulpito tra guerre preventive, pena di morte tornata in auge sotto Trump e tutto il polverone di Black Lives Matter.

Tempi accorciati

Prima del summit i due leader, davanti al presidente svizzero Guy Parmelin e al ministro degli Esteri Ignazio Cassis, si sono stretti la mano per la foto di rito. Da lì in poi si è iniziato a fare sul serio. Putin, algido e rigido, come si confà a un russo si augura che “i colloqui siano produttivi". Biden, più sciolto e americano, nei modi oltre che nel passaporto, sottolinea la necessità e i benefici di un faccia a faccia. Per quasi quattro ore i due si ritirano nelle segrete stanze: un’ora e mezza abbondante di colloquio alla presenza dei rispettivi ministri degli esteri, quindi per un incontro allargato ad alcuni consiglieri dopo una pausa di tre quarti d’ora. Cronometro alla mano sarà parecchio meno del previsto. A tal punto che qualcuno teme che i tempi accorciati siano sinonimo di fallimento.

Buffetti e stoccate

Le due conferenze stampa - rigorosamente separate - hanno invece generato un moderato ottimismo, con il riconoscimento di una "responsabilità comune globale" e della necessità di dialogare, anche quando non si è d'accordo. "I colloqui sono stati molto costruttivi, non c'è alcun genere di ostilità tra noi", le prime parole di Putin, che ha rivelato come dopo il killer-gate i due si erano spiegati al telefono. E che ha portato a casa quel che voleva: il riconoscimento e il rispetto per la Russia nell'arena internazionale. Una soddisfazione che Obama, che la definiva potenza regionale, non gli dava. "Biden è uno statista molto esperto, equilibrato, ha valori morali, abbiamo trovato un linguaggio comune. Questo non vuol dire che ci prometteremo amicizia eterna o dobbiamo cercare le nostre rispettive anime ma ho visto una scintilla di speranza nei suoi occhi".


Vladimir Putin durante la conferenza stampa russa (Keystone)

Quindi ha indicato i terreni di collaborazione: il ritorno degli ambasciatori, l'inizio di consultazioni per il nuovo Start e sui cyber attacchi, di cui però ha respinto ogni responsabilità. Possibile un compromesso sullo scambio di prigionieri, idea lanciata proprio da Putin alla vigilia del vertice, mentre sull'Ucraina si è limitato a ribadire l'impegno a rispettare gli accordi di Minsk (Il protocollo stilato nel 2014 per porre fine alla guerra e allo stesso tempo non arrivare mai a una pace) auspicando che Kiev faccia altrettanto. Rassicurazioni sono arrivate anche sulla militarizzazione dell'Artico, che per ora, almeno ufficialmente, non viene vista come un risiko dove mettere bandierine, sebbene quello sia un campo decisivo per una serie di motivi: confini, risorse, rotte marine che si aprono con lo scioglimento dei ghiacci.

In punto su cui il Cremlino non sente ragioni è il caso Navalny (prima del summit c'è stato un sit-in di protesta a Ginevra), talmente indigesto da non volerlo neppure nominare: "Parliamo di un uomo che ha violato deliberatamente la legge per farsi arrestare". E sui diritti umani ha rinfacciato agli Usa Guantanamo, le prigioni segrete della Cia, i droni che uccidono i civili, le sparatorie quotidiane. Con un affondo a effetto: “Non vogliamo che da noi accada quello che è successo con l'assalto al Congresso”, riferendosi all’irruzione dei fan di Trump, il 6 gennaio scorso. Un paragone che Biden ha subito definito, senza tanti giri di parole, “ridicolo”, visto che in Russia alle manifestazioni di piazza si viene arrestati per molto meno.

Pacco regalo

Il presidente statunitense ha esordito dicendo che "un'altra Guerra Fredda non sarebbe nell'interesse di nessuno". "Sono venuto a fare quello che dovevo" con l'obiettivo di "avere relazioni stabili e prevedibili: l'incontro è stato buono, c'è una genuina prospettiva di migliorare significativamente le relazioni" fra Stati Uniti e Russia. "La politica internazionale è un'estensione dei rapporti personali, non c'è un codice segreto", ha confidato Biden, sollevando il fatto che solo 10 anni li separano, e dunque c'è una certa 'affinità generazionale'. "Non per questo ci siamo abbracciati", ha scherzato.

Poi, facendosi più serio: “La mia agenda non è contro la Russia, ma per gli americani", ricordando alcune azioni ostili russe, come le interferenze nelle elezioni o gli hackeraggi, dicendo che non saranno più tollerate. A questo proposito ha consegnato a Putin una lista di "16 infrastrutture critiche" che devono rimanere al di fuori di ogni forma di attacco. Un messaggio chiaro, a cui ha aggiunto che ogni atto ostile verrà trattato di conseguenza.

Insomma, le minacce - seppur velate - non sono mancate. E nemmeno i regali. Putin ha ricevuto un bisonte di cristallo e un paio di occhiali da sole Aviator fatti fare su misura. Da uno che due mesi fa gli dava dell’assassino in televisione. Poteva andare peggio.


La conferenza stampa di Biden, vista lago (Keystone)

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