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‘Noi, ultima radio libera d'Ungheria. Orbán non ci fermerà’

Il fondatore di Klubrádió: ‘Costretti a emigrare sul web da un governo mafioso e corrotto che processa e censura chi non fa propaganda di regime’

(Keystone)
11 febbraio 2021
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Il presidente ceco in conferenza stampa con un fucile giocattolo con sopra la scritta “per i giornalisti”, un premier che chiamava i cronisti “prostitute anti-slovacche”, il governo polacco che aumenta le tasse ai media che non si allineano e una radio ungherese costretta a emigrare su internet perché nell’etere, per lei – ma solo per lei – non c’è più spazio. Così è ridotta la stampa nell’Europa di quelli che hanno deciso di mettersi da soli nell’ultimo banco a far caciara, a far da sé: sono i Paesi del Gruppo di Visegrád. Chi più (Polonia e Ungheria), chi meno (Repubblica Ceca e Slovacchia) prendono i soldi dell’Ue e poi mettono paletti e vincoli su tutto: migranti, libertà di stampa, diritti civili, remando spesso controcorrente rispetto al resto dell’Unione.

L’ultima censura in ordine di tempo ha colpito Klubrádió, la radio libera d’Ungheria che non piace al presidente Viktor Orbán e alla sua corte. “Siamo sotto tiro dal 2010. Hanno provato in tutti i modi a farci fuori. Hanno iniziato togliendoci ogni tipo di sovvenzione pubblica e ritirando la pubblicità delle compagnie statali per dirottarla su media più accomodanti. Hanno proseguito con intimidazioni verso i privati che ci finanziavano e infine ci hanno portato in tribunale. Abbiamo vinto otto cause una dietro l’altra contro l'Autorità per i media controllata da Fidesz, il partito di Orbán. Questa volta sono riusciti a fregarci nonostante la legge fosse chiara e dalla nostra parte”. È Mihály Hardy, responsabile news di  Klubrádió, a spiegare il mistero poco misterioso della licenza sparita. Scadeva nel settembre 2020 e doveva essere prolungata per altri sette anni. E invece, dal giorno di San Valentino, sulla frequenza Fm 92.9 calerà il silenzio a Budapest e dintorni. “Raggiungevamo tutta l’area della capitale e i dintorni, circa 3 milioni e mezzo di persone. Di queste, 150-180 mila al giorno ci ascoltano per informarsi su argomenti di cui altrove non si parla: povertà, migranti, diritti civili, parità di genere, discriminazione…”. Hardy spera che appellandosi a questa decisione si possa tornare a trasmettere via etere, “ma con i tempi della giustizia ci vorrà un anno, un anno e mezzo”. Nel frattempo, radio amiche nella stessa situazione potranno continuare come se nulla fosse, gettando ulteriori ombre sul concetto di libertà di stampa in casa Orbán. Ma il fondatore e proprietario di Klubrádió, András Arató non si arrende e promette battaglia anche fuori dai confini ungheresi, a Strasburgo, alla Corte per i diritti dell’uomo, e in Lussemburgo alla Corte di giustizia Ue.

"Salvi grazie alle donazioni degli ascoltatori“

“Ho fondato Klubrádió nell’ormai lontano 2001. C'era già un'enorme mancanza di radio indipendenti che trasmettessero notizie, che si occupassero di temi vicini alla gente, che fossero la salute o la cultura. Abbiamo ampliato gli orizzonti, nostri e di chi ci seguiva, questa è la vera ragione della persecuzione in atto – spiega Arató –. Il sistema illiberale ungherese non sopporta l'esistenza di media indipendenti e critici. Appena Orbán è andato al governo ha iniziato una guerra contro tutte le istituzioni democratiche. I media liberi sono diventati di colpo nemici della nazione. Ci hanno colpiti economicamente, eliminandone uno a uno: qualcuno è stato ridimensionato, altri sono falliti, altri ancora sono diventati bersagli facili da colpire. E così, ora, la stragrande maggioranza dei media è in mano a proprietari fedeli al governo. Ovviamente quel che fanno non è giornalismo, ma propaganda di regime. Klubrádió è sopravvissuta a questo decennio terribile capendo per tempo che la salvezza poteva passare attraverso le donazioni”, ricorda Arató. Un successo oltre le aspettative, con 1,5 miliardi di fiorini (4 milioni e mezzo di franchi) arrivati negli anni dagli ascoltatori, ben contenti di finanziare l’unica voce contraria ai megafoni governativi. Il legame forte lo si è visto in questi giorni difficili in cui sono aumentate le vendite del merchandising di Klubrádió, con il riconoscibile profilo di una zebra, e il tam-tam che sta portando gli studenti a recuperare vecchi smartphone e computer da distribuire a chi non ne ha e non sa come si ascolta una radio che trasmette solo sul web. D’altronde, in Ungheria solo il 57% della popolazione si connette giornalmente in rete, uno dei dati più bassi dell’Ue (peggio solo Polonia e Romania, la media europea è 69%). “Sì, il nostro pubblico sembra pronto a seguirci anche in rete. Sono molto arrabbiati, sconvolti e tristi. Ma mostrano grande risolutezza. Ci stanno dando una motivazione extra, come nel 2012. Per la prima volta la nostra licenza era incerta, e a Budapest e in altre città sono state organizzate manifestazioni con alcune decine di migliaia di partecipanti. Oggi, purtroppo, anche la pandemia aiuta chi è al potere, con il divieto di assembramento. E in ogni caso non chiederemmo ai nostri sostenitori di mettere in pericolo la loro salute. Ma stiamo studiando altri modi per manifestare questa rabbia e irritare quei bastardi”. 

"Orban, un quasi dittatore"

Non usa mezzi termini il fondatore della radio: “Formalmente tutti gli elementi di una democrazia liberale esistono in Ungheria, ma sono svuotati. Le istituzioni – dalla Corte costituzionale alla Banca nazionale e all’Autorità per i media – sono tutte piene di familiari e amici controllati da una sola persona, Orbán. Un populista, un quasi dittatore senza scrupoli, capo e creatore di un sistema estremamente corrotto. L'Europa ha commesso e commette costantemente un enorme errore finanziando questo regime mafioso, la cui risorsa principale è proprio il denaro dei contribuenti europei. Anche questo ci sprona ad andare avanti. C’è delusione, ma anche rabbia, adrenalina e voglia per quel che ci aspetta. Abbiamo perso una battaglia e un mezzo per farci ascoltare, ma non ci hanno messo a tacere”, conclude Arátó. Parole condivise dal caporedattore della radio, Tamás Báder: “Capisco che all’estero possa sembrare una tragedia quel che ci è accaduto, ma noi ci conviviamo da dieci anni, da quando Orbán ha provato a devastare la nostra radio. Ma il vero potere lo abbiamo noi, si chiama pubblico. CI hanno dato denaro e amore, sostenendoci nel tempo. Grazie a loro sono un giornalista libero e indipendente. Quando ero giovane e andavo all’università ti dicevano di credere nella verità, e lo facevamo. Tanti sono cambiati, non io, che a testa alta posso dire di non sentirmi uno schiavo”.

 

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