Estero

Ricomincia l'aggressione del Marocco al popolo Saharawi

Un membro del Comitato svizzero di sostegno al Popolo del Sahara Occidentale ci spiega cosa c'è dietro all'operazione militare di oggi

(Keystone)
13 novembre 2020
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*avvocata, membro del Comitato svizzero di sostegno al Popolo del Sahara Occidentale

Dopo gli eventi di Gdem Izik – l’accampamento della dignità e della libertà –, oggi il Regno del Marocco ha lanciato nuovamente un’operazione militare contro civili saharawi che manifestavano pacificamente nella regione di Guergarat, al sud del Sahara Occidentale.

Il linguista americano Noam Chomski l’aveva definito “il preludio alla primavera araba”, l’accampamento di Gdem Izik eretto il 15 ottobre 2010 nei territori occupati del Sahara Occidentale, a 15 km da Laâyun (la capitale), da 20’000 uomini, donne e bambini saharawi provenienti dai territori occupati, dai territori liberati, dai campi rifugiati e dalla diaspora spagnola, in segno di protesta contro le condizioni di vita e l’ingiustizia subita dalla popolazione saharawi nei territori occupati dal Regno del Marocco; l’evento segnò un importante momento nel corso della resistenza civile saharawi.

Si tratto’ del piu’ vasto movimento pacifico di resistenza, dal cessate-il-fuoco firmato nel 1991 dal Fronte Polisario - movimento di resistenza creato per combattere il potere coloniale spagnolo e riconosciuto, dal 1979, dalle Nazioni Unite legittimo rappresentante del Popolo del Sahara Occidentale - e dal Regno del Marocco, che condusse alla creazione della Missione delle Nazioni Unite per il Referendum nel Sahara occidentale (MINURSO), il cui mandato principale era l’organizzazione del referendum di autodeterminazione che già la Spagna si era detta pronta ad organizzare nel lontano 1966. In effetti, nel dicembre del 1963 l’Assemblea Generale delle Nazioni Unite aveva iscritto il territorio del Sahara Occidentale nella lista dei territori non autonomi, ai quali viene concesso il libero esercizio del diritto all’autodeterminazione e all’indipendenza-.

8000 tende vennero installate e le famiglie si organizzarono secondo le regole di vita del popolo nomade del deserto, sotto la khaima (tenda, simbolo della vita nomade). Molto presto, l’esercito marocchino accerchio’ l’accampamento, scavando un fossato per impedire il passaggio delle persone e dei viveri.Venne creato un comitato di dialogo, costituito da rappresentanti dell’accampamento, che intrattenne regolari incontri con le autorità marocchine al fine di esprimere le rivendicazioni dei manifestanti. Malgrado gli impegni presi da ambo le parti, il campo venne violentemente smantellato dall’esercito marocchino; gas lacrimogeni, camion con cannoni d’acqua, elicotteri vennero impiegati contro gli occupanti dell’accampamento, civili disarmati. Le tende vennero incendiate e la popolazione cacciata verso Laâyun.

Secondo le autorità marocchine, durante l’assedio vennero uccisi 11 membri delle forze d’intervento; non venne eseguita nessuna inchiesta, alla stampa nazionale e internazionale venne vietato l’ingresso e venne dato allora avvio a un’ondata di arresti : centinaia di saharawi vennero arrestati o molestati. Venticinque di essi – chiamati inseguito  il gruppo di Gdem Izik-  vennero accusati di essere gli autori dell’uccisione dei poliziotti e posti per sei settimane in isolamento. Dopo tre anni (2013) un tribunale militare marocchino, attraverso una procedura a dir poco irregolare e irrispettosa dei più elementari diritti della difesa, pronunciò pene fino all’ergastolo, senza alcuna prova (le confessioni sotto tortura non essendo evidentemente valide) e senza nemmeno indicare l’identità delle vittime o presunte tali. Particolarmente raccapriccianti le testimonianze dei prigionieri saharawi: alcuni di loro raccontarono di essere stati appesi ai polsi e alle ginocchia e di aver subito sevizie sessuali, di essere stati violentati con oggetti, di essersi visti strappare le unghie di mani e piedi; atti barbari per i quali il Regno del Marocco venne riconosciuto responsabile e condannato dal Comitato dell’ONU contro la tortura. Tuttavia, le autorità giudiziarie marocchine continuarono a seguire procedure inique, violando i piu’ elementari diritti della difesa. Da allora, i prigionieri saharawi sono stati condannati a tre riprese, sull’ unica base di confessioni ottenute sotto tortura. A tuttora, 23 membri del Gruppo di Gdeim Izik scontano severissime pene comprese fra 20 anni di prigione e la reclusione perpetua.

La Corte di Cassazione dovrà, a breve, nuovamente pronunciarsi sulla corretta applicazione del diritto da parte del Tribunale d’Appello e avrà la competenza, o di rinviare il dossier a un altro Tribunale d’Appello per nuova decisione, oppure di confermare la decisione.

Oggi, a 10 anni di distanza dai fatti di Gdem Izik, le forze militari marocchine sono intervenute contro civili saharawi che, in segno di protesta per il perdurare dell’occupazione militare marocchina, si erano radunati pacificamente e avevano bloccato il passaggio di Guerguerat, una breccia aperta nel muro costruito illegalmente dal Regno del Marocco, che separa i territori occupati dallo stesso Regno del Marocco e i territori liberati dal Fronte Polisario. 

L'occupazione perdura sotto gli occhi accondiscendenti in particolare dei governi di Spagna e Francia – nonostante un'occupazione reiteratamente condannata dall’ONU –, per il mancato adempimento da parte della missione dell’ONU (Minurso) del mandato per il quale venne istituita, ovvero l’organizzazione del referendum per l’autodeterminazione del popolo saharawi. Perdura anche l’illegale sfruttamento operato impunemente dai marocchini delle risorse naturali presenti sul territorio del Sahara Occidentale,

L’accordo aggiuntivo all’Accordo di cessate-il-fuoco del 1991, firmato dal Regno del Marocco e dal Fronte Polisario, aveva stabilito la creazione di due zone tampone smilitarizzate a sud/est (territori liberati) e a nord/ovest (territori occupati) del muro, prima della frontiera con la Mauritania; l‘accordo non prevedeva la possibilità di creare movimenti commerciali o altro lungo il muro. Malgrado ciò, nel 2016 le autorità militari marocchine costruirono una strada asfaltata che attraversa la zona tampone, in flagrante violazione degli Accordi. Di fronte a questa situazione, il Fronte Polisario allertò la Minurso, sperando che questa reagisse come aveva fatto nel 2001, opponendosi fermamente all’intenzione del Regno del Marocco di realizzare il passaggio. Purtroppo questo non avvenne e dopo un lungo periodo di tensioni fra l’esercito marocchino e le truppe saharawi nella zona tampone, le forze armate marocchine si ritirarono. ll traffico su questo asse stradale rimane a tutt’oggi importante; la MIinurso non è per ora intervenuta per far rispettare gli Accordi, confermando tuttavia la presenza di truppe marocchine nella zona tampone, lungo il muro, in chiara violazione degli Accordi.

L’attacco di oggi da parte delle forze marocchine contro civili saharawi non armati che manifestavano pacificamente rappresenta un’ ulteriore violazione del cessate-il-fuoco firmato nel 1991 e ricorda i fatti di Gdem Izik.

Il presidente della Repubblica Araba Saharawi Democratica, Brahim Ghali, ha inviato oggi una lettera urgente al segretario generale delle Nazioni Unite, Antonio Gutierrez, nonché alla presidente del Consiglio di Sicurezza dell’ONU, Inga Rhonda King, a New York, informandoli che le forze militari del Fronte Polisario sono state costrette a intervenire a difesa e protezione dei civili saharawi e domandando l’intervento urgente delle Nazioni Unite per mettere fine a questa operazione militare illegale del Marocco.

Il Consiglio di Sicurezza dell’ONU dovrà, a nostro parere, dar finalmente prova di fermezza e volontà nel voler far rispettare le sue decisioni e gli accordi di cessate-il-fuoco firmati sottoscritti dalle parti nel 1991. Non dovrà neppure sottovalutare il senso di esasperazione e la collera che le continue violazioni del diritto internazionale da parte del Regno del Marocco generano nel popolo saharawi. A dieci anni di distanza dal feroce smantellamento dell’accampamento della dignità e della libertà ed a oltre 50 anni dal riconoscimento internazionale del suo diritto all’autodeterminazione, il popolo del Sahara Occidentale verosimilmente non sarà piu’ disposto a reprimere la sua collera.

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