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Joe Biden e 'un antidoto al veleno trumpiano'

Intervista a Daniele Raineri su quello che sta succedendo e cosa dobbiamo aspettarci, in un'America ancora confusa

(Keystone)
6 novembre 2020
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Insomma, ormai ci siamo. Al momento di andare in stampa, l’elezione di Joe Biden a 46esimo presidente degli Stati Uniti non era ancora confermata, ma era già data quasi per scontata da tutti i più autorevoli media americani. Questo dopo un’altra giornata di spogli che ha lentamente deciso o consolidato il vantaggio dello sfidante democratico di Donald Trump in Arizona, Nevada, Georgia e perfino in quella Pennsylvania nella quale è nato e che all’inizio pareva saldamente in mano al presidente uscente, il quale a sua volta l'aveva strappata a Hillary Clinton. Tre i risultati che chiuderebbero la partita: una vittoria anche solo in Pennsylvania, una in Arizona più Nevada, oppure in Georgia e un altro qualsiasi degli Stati ancora in ballo.

Trump ovviamente non ci sta, come dimostra il suo ultimo discorso alla nazione, definito dalla Cnn “il più disonesto della sua presidenza”: uno sconclusionato susseguirsi di balle colossali su brogli mai avvenuti – “se si contano i voti legali vinco facile”, come no – dopo che aveva già chiesto di fermare il conteggio (avendo demonizzato il voto per corrispondenza, sa bene che ogni busta in più potrebbe essere una scheda per Biden). Alcuni dei maggiori network televisivi hanno perfino interrotto la diretta della filippica per intervenire con il fact-checking.

Se va avanti così, sarà comunque difficile che Trump possa essere salvato da un riconteggio o dalla Corte Suprema. Intanto però il suo comitato ha già presentato un ricorso in Nevada, dopo quelli in Michigan, Pennsylvania e Georgia, dove il riconteggio appare certo dato il margine davvero esiguo. E la rete di disinformazione che sostiene The Donald, dal portale dell’alt-right Breitbart a mille troll e pagine social, sta facendo la sua parte col ritornello #StopTheSteal (fermate il furto). Fedele alla sua immagine di vecchio zio benevolo, Biden ha invece scelto toni pacati, chiedendo “un po’ di pazienza” e osservando che “a volte la democrazia è un po’ incasinata”. Un modo per evitare che le manifestazioni di entrambi gli schieramenti degenerino, come qua e là è già capitato.

L'INTERVISTA

'Un antidoto al veleno'

Son giorni sospesi (oltre alle notti insonni e a un principio d’acidità di stomaco) per chi cerca di capire cosa succederà in America, come potrebbe essere la presidenza Biden e in che modo si consumerà il probabile passaggio di poteri: con Donald Trump non sai mai cosa aspettarti. Che succederà ora? Nessuno ha la sfera di cristallo, ma qualche ipotesi possiamo provare ad abbozzarla insieme a Daniele Raineri, giornalista del ‘Foglio’, esperto di politica estera e già corrispondente da New York. 

Raineri, cominciamo da una valutazione dei risultati: le elezioni sono contese fino all’ultimo, ma Biden è a un millimetro dalla vittoria e ha preso più voti di qualunque presidente prima di lui, Barack Obama incluso, nonostante non sia un personaggio molto carismatico. Cos’è successo?

Più che altro, è stato Trump a fare diventare queste elezioni un referendum su di lui, per cui il voto a Biden è spesso anzitutto un voto contro Trump. Conseguenza tutto sommato inevitabile, se ad esempio si gestisce in modo così disastroso un’emergenza come quella del coronavirus. Penso che molte persone non tollerassero più un presidente che ha consegnato il Paese all’isteria, in cui mentre si registrano centinaia di migliaia di morti lui politicizza la questione dicendo che le mascherine le portano solo i ‘perdenti’ democratici. Una situazione surreale: siamo arrivati al punto di dover vedere un immunologo come Anthony Fauci costretto a girare con la scorta. Trump ha portato alla saturazione, Biden ne ha raccolto i frutti.

L’impressione però è che chi voleva liberarsi di Trump sia comunque un po’ deluso, magari perché si aspettava subito una ‘landslide’, una valanga di voti che colorasse rapidamente di blu la cartina americana.

Qui entra in gioco un problema di percezione. In effetti i sondaggi di questi mesi avevano creato quest’illusione, per cui si è delusi nonostante il voto record. Tanto più che non solo non c’è stata la valanga a livello di Stati, ma il voto postale ha prolungato lo spoglio e la conoscenza dei risultati. Sarebbe bastato un conteggio più rapido per creare la percezione di una vittoria più netta.

Fatto sta che Biden resta un personaggio poco entusiasmante. O no?

La debolezza di Biden è dovuta secondo me al fatto che si è trattato di un candidato stanco, arrivato alla presidenza dopo diversi tentativi falliti alle primarie. Agli Americani di solito non piace molto questo perdere e riperdere prima di ottenere un risultato, e questo era uno dei punti di forza di Trump: ha vinto le primarie e le elezioni al primo tentativo, con una campagna tra l’altro molto meno costosa di quella di quest’anno per Biden. Il quale peraltro si trascina dietro una lunga carriera nei ranghi della politica di mestiere, una dote scomoda in questi tempi di populismo e antipolitica. Poi sta antipatico a quella parte del suo schieramento che lo considera troppo centrista e troppo legato a schemi di partito obsoleti.

Comunque stavolta anche l’elettorato più di sinistra si è turato il naso e ha sostenuto Biden, molto più che con Hillary Clinton.

Come si dice in America “fool me once, shame on you; fool me twice, shame on me”: se mi freghi una volta è colpa tua, se mi freghi due volte allora sono scemo io. Nel 2016 nessuno credeva che Trump ce l’avrebbe fatta, e quindi l’elettorato di sinistra si è mobilitato di meno. Stavolta si è evitato l’errore, soprattutto dopo aver visto come un presidente del genere più sta in sella, più crea ‘trumpismo’: sacche sempre più grandi di estremisti, divisioni e violenza crescenti. D’altronde per vincere non si può puntare su candidati troppo di sinistra: Alexandria Ocasio-Cortez è molto carismatica e ha un’immagine forte, ma poi bisogna convincere la gente del Midwest, non solo quella del Queens. E infatti Biden il Midwest se l’è ripreso, pur con qualche difficoltà.

Quali saranno le sue prossime mosse?

Penso che voglia anzitutto dare all’America un antidoto al veleno trumpiano in termini di percezioni e toni del confronto, cercando di riunire un Paese spaccato, addirittura di anestetizzarlo: anche nel momento dell’incertezza elettorale è incredibile come ogni sua dichiarazione sia stata saggia, tiepida, calma; non una parola fuori posto, praticamente nessuna polemica. A un certo punto ha anche detto “la guerra è finita”. Si direbbe che per costruire un nuovo ‘Obamesimo’ voglia riportare gli Stati Uniti al pre-trumpismo, a essere un paese che non viva nella trepidante attesa dell’ennesima sparata del presidente, che si tratti di una battutaccia sulle donne, sui caduti in guerra definiti “perdenti” o i neonazisti “brava gente”. La priorità insomma è riportare il tono della presidenza a una certa gravitas.

Ma cosa farà dal punto di vista programmatico?

Per sapere questo occorre attendere che metta insieme un governo, la cui nomina e azione dovrà comunque passare attraverso l’approvazione da parte di un Senato a maggioranza repubblicana, a meno che in Georgia i ballottaggi di gennaio non rovescino la situazione. E poi dovrà negoziare con l’ala radicale del partito.

Comunque, prima che Biden entri alla Casa Bianca, sarà bene che Trump ne esca. Non si direbbe molto convinto.

Penso che data la sua indole non se ne andrà affatto in punta di piedi. Credo che voglia una sconfitta spettacolare, che lasci per decenni nella testa degli Americani la convinzione che ha perso a causa dei brogli e degli inganni dei Democratici. Sa che ci saranno decine di milioni di persone disposte a crederlo. Cerca il fuoco d’artificio finale, anche solo per vanità personale: punterà i piedi, farà cause su cause. Non ce lo vedo a telefonare a Biden e fargli i complimenti per la vittoria.

E l’effetto sulle piazze?

Molto brutto, temo. Consideri che c’è un esercito di complottisti che lo venerano come un semidio. Pensi a Qanon (una teoria del complotto d’ultradestra secondo la quale il mondo sarebbe governato da un occulto ‘Deep State’, uno ‘stato profondo’ di pedofili satanisti tra i quali Barack Obama, Hillary Clinton, George Soros, Papa Francesco e molti altri, ndr). A noi certe teorie paiono ridicole, ma è facile che qualcuno che ci crede poi prenda l’iniziativa e causi disordini, così come questi possono venire dai gruppi di estrema destra.

Una volta fuori, che fine farà?

Su questo ci sono due scuole di pensiero. La prima ritiene che senza il podio e il megafono della presidenza Trump andrà incontro all’oblio e finirà messo in disparte da un partito nel quale si è infilato come un corpo estraneo. La seconda sostiene invece che il Partito repubblicano di una volta non esiste più, che è già stato plasmato e rimpiazzato dai fedelissimi di Trump, il cui capitale politico resterebbe quindi enorme e tale da poter ancora tenere le redini in un modo o nell’altro. D’altronde ha preso comunque 70 milioni di voti a queste elezioni.

Qual è l’ipotesi più probabile?

Per capire cosa succederà, anche in questo caso occorrerà valutare molte variabili e fattori contingenti: ci sono indagini e valutazioni fiscali pendenti, Trump potrebbe rischiare anche qualche fallimento. Se gli va male su questo fronte, si sa che negli Stati Uniti si può arrivare alle stelle e poi finire in disgrazia altrettanto velocemente. Anche perché, se si rompe il suo sistema di potere, è possibile che qualcuno tiri fuori informazioni sul suo conto ancora più gravi di quanto trapelato finora. Con Trump non si possono mai fare previsioni troppo a lungo termine.

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