Estero

In 50mila a Washington contro il razzismo

Dopo gli spari alla schiena di Jacob Blake e nel 57mo anniversario dell' 'I Have a Dream' di Martin Luther Kingn, migliaia di manifestanti al Lincoln Memorial

Il sogno svanito (Keystone)
28 agosto 2020
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Washington – In testa al corteo c'è il padre di Jacob Blake, il giovane afroamericano rimasto paralizzato dopo che a Kenosha, in Wisconsin, un poliziotto gli ha esploso sette colpi di pistola alla schiena: "Mio figlio è in un letto di ospedale e lo tengono ammanettato", il racconto shock dell'uomo, arrivato a Washington per la marcia antirazzista organizzata per ricordare il 57mo anniversario dell'iconico 'I Have a Dream' di Martin Luther King. Dalla quale si è levato ancora una volta un grido di rabbia e frustrazione per le troppe vite recise da una polizia oramai sotto processo in tutta America. "Quando è troppo è troppo", ha scandito Martin Luther King III, figlio maggiore di Mlk, prendendo la parola insieme al pastore Al Sharpton, leader indiscusso della black community.
Imponenti misure di sicurezza, Casa Bianca blindata, obbligo di mascherina e distanziamento sociale, in 50 mila si sono radunati lungo il National Mall, davanti al palco sistemato sulle gradinate del Lincoln Memorial, proprio come in quel lontano 28 agosto 1963. Allora una folla enorme segnò la svolta nella lotta per i diritti civili. Oggi, nonostante i numeri ridotti a causa della pandemia, la speranza del movimento è quella di recuperare lo 'spirito del 63', per avviare una stagione in cui l'America faccia definitivamente i conti con una questione razziale mai completamente risolta.
In tempi di campagna elettorale le divisioni politiche non aiutano. Da una parte il mantra del 'law and order' ripetuto ossessivamente da Donald Trump, dall'altra un partito democratico schierato con le proteste ma dove l'ala sinistra si spinge a chiedere anche un drastico taglio dei fondi alla polizia, posizione avversata anche dal candidato democratico alla presidenza Joe Biden. C'è comunque un punto di partenza che accomuna le varie anime del movimento: varare una profonda riforma, a partire dalla formazione e dall'addestramento degli agenti. In Congresso c'è già pronta la 'George Floyd Justice in Policing Act', sostenuta dai democratici e dal Congressional Black Caucus che riunisce deputati e senatori afroamericani. Un testo che riscrive a fondo anche il codice di condotta degli agenti per limitare al massimo le violazioni dei diritti civili e i comportamenti discriminatori basati su motivi razziali. Se il 3 novembre i dem torneranno alla Casa Bianca e, come spera il partito, torneranno a conquistare il Senato, la strada sarà in discesa.
Ma se Trump sarà rieletto difficile pensare a una vera svolta in tempi brevi, con il presidente che nel discorso di accettazione della nomination celebrando il ruolo dei poliziotti eroi non ha mai citato il nome di Jacob Blake, o quello di George Floyd.
Quando la marcia è partita dal Lincoln Memorial in direzione del vicino Martin Luther King Memorial, a sfilare c'erano invece alcuni familiari di 'Big Floyd', e poi quelli di Breonna Taylor, la giovane afroamericana uccisa dalla polizia mentre dormiva nella sua abitazione a Louisville, in Kentucky. E ancora quelli di Eric Garner, soffocato da una presa al collo degli agenti a New York. Lo slogan è 'Get your knees off our necks', via le vostre ginocchia dal nostro collo, riferito alla pratica spesso usata dagli agenti per immobilizzare le persone fermate: come accaduto a Floyd, morto soffocato. 'I can't breath', non posso respirare, l'altro slogan più gettonato. Difficile che Trump lo abbia ascoltato, lasciando la Casa Bianca alla volta del New Hampshire per riprendere la campagna elettorale dopo le fatiche della convention.

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