Estero

Cessate il fuoco e una data per le elezioni in Libia

La svolta nell'annuncio del premier tripolino Fayez al Sarraj, confermato dalle autorità della Cirenaica. Haftar tace

21 agosto 2020
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La cautela è d'obbligo dopo nove anni di guerra civile alternati da periodi di tregua più o meno lunghi. Ma nel cammino accidentato della Libia post-Gheddafi torna ad affacciarsi la possibilità di una svolta: le autorità rivali del governo di Tripoli e del parlamento di Tobruk hanno annunciato un cessate il fuoco duraturo e, soprattutto, la convocazione di elezioni a marzo. Anche se per il momento l'uomo forte dell'Est, il generale Khalifa Haftar, tace.

La notizia di una cessazione delle ostilità è arrivata dopo settimane di intensi negoziati tra le parti, sotto la regia dell'Onu. Favoriti dallo stallo prolungato sulla linea del fronte Sirte-Jufra, dove a giugno la controffensiva delle truppe fedeli al premier Fayez al Sarraj si era fermata per la resistenza delle milizie di Haftar. A rompere gli indugi è stata Tripoli in una nota in cui Sarraj "ha ordinato a tutte le forze militari di osservare un cessate il fuoco immediato in tutti i territori libici". Come atto di "responsabilità politica e nazionale", ma anche in considerazione "dell'emergenza coronavirus". Sarraj ha inoltre formalizzato la "richiesta di elezioni presidenziali e parlamentari a marzo sulla base di un'adeguata base costituzionale su cui - ha affermato - le parti concordano".

In un comunicato distinto anche le autorità della Cirenaica hanno dichiarato il cessate il fuoco e previsto elezioni "prossimamente". "Cerchiamo di voltare pagina", ha detto Aguila Saleh, il leader del parlamento di Tobruk che ha costituito il braccio politico di Haftar nella sua lunga e infruttuosa campagna per prendere il controllo di Tripoli. L'accordo, se dovesse essere finalizzato, porterebbe finalmente alla piena ripresa dell'attività petrolifera, vitale per l'economia libica. Ripresa già in qualche modo avviata nei giorni scorsi da Haftar, che ha riaperto i pozzi della Mezzaluna dopo sette mesi. Nel frattempo i ricavi dell'export di greggio saranno congelati nella banca dell'ente nazionale, la Noc.

La possibile svolta nel conflitto libico è stata accolta con unanime sollievo. Dall'Onu alla Lega Araba, dagli Stati Uniti all'Italia. Il premier Giuseppe Conte ha sottolineato che si tratta di un "passo importante per il rilancio del processo politico". Secondo il presidente egiziano Abdel Fattah al-Sisi è stata imboccata la strada del "ripristino della normalità". I nodi nel percorso di pace, tuttavia, restano. Almeno a leggere per esteso le dichiarazioni dei due schieramenti. Tobruk, ad esempio, non ha esplicitato una data delle elezioni, al contrario di Tripoli. C'è poi la questione Sirte, che Sarraj vorrebbe "smilitarizzata". Mentre Saleh a questo non ha fatto accenno, anzi ha rilanciato proponendo che la città natale di Muammar Gheddafi, a metà strada fra Tripoli e Bengasi, diventi la capitale di un nuovo governo. Entrambi hanno fatto riferimento alla necessità dell'uscita dal paese di "forze straniere e mercenari", ma Tobruk ha insistito anche sullo "smantellamento delle milizie". Che di fatto sono state la rete protettiva di Sarraj.

Inoltre, manca all'appello uno degli interlocutori principali, Haftar appunto, che ancora non si è pronunciato sulla tregua. Cautele a parte, l'annuncio della distensione interrompe, almeno per il momento, un'escalation che aveva raggiunto il suo culmine appena un mese fa, quando il generale Sisi si era fatto autorizzare dal parlamento egiziano l'invio di truppe in Libia, al fianco di Haftar. Prefigurando uno scontro dagli esiti imprevedibili con l'altro gigante regionale, la Turchia, asso nella manica grazie a cui Tripoli ha ribaltato a suo favore le sorti del conflitto.

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