Estero

Johnson chiude a Huawei, Trump ringrazia

Il Regno Unito esclude l'azienda cinese dalle forniture per la rete 5G, per 'ragioni di sicurezza'

14 luglio 2020
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Boris Johnson chiude a Huawei. L'azienda cinese di telecomunicazioni è stata esclusa dalle forniture per la futura rete 5G nel Regno Unito. Una scelta che riallinea Londra a Washington, con comprensibile soddisfazione di Donald Trump. Il voltafaccia britannico ha messo in allarme la Cina, dalla quale è da attendersi una 'risposta adeguata', come hanno detto fonti ufficiali, anche agli attriti generati dalla questione Hong Kong.

La decisione è stata formalizzata in una riunione del consiglio di sicurezza nazionale presieduta da Johnson, e poi illustrata alla Camera dei Comuni da Oliver Dowden, titolare del ministero della Cultura, del Digitale, dei Media e dello Sport. Dowden ha spiegato che Huawei - a cui nei mesi scorsi era stato dato il via libera a dispetto delle pressioni Usa, per quanto limitato al 35% del totale del mercato e con il bando da alcune parti più sensibili del progetto - non potrà fornire alcuna nuova componente dal 31 dicembre 2020. Mentre le parti già piazzate nel Regno dovranno essere rimosse entro il 2027.

"Non è stata una decisione facile, ma era quella giusta da prendere", ha detto Dowden a Westminster invocando alla base della svolta le raccomandazioni aggiornate dell'intelligence nazionale: chiamata a rivedere la questione in seguito alle sanzioni aggiuntive imposte dall'alleato americano all'azienda asiatica sui semiconduttori. "Abbiamo sempre valutato Huawei come un fornitore ad alto rischio", ha puntualizzato, "e siamo stati chiari dal principio che il National Cyber Security Centre avrebbe riesaminato" le cose "se necessario".

Delusione a Pechino

Spiegazioni che Huawei ha respinto come "deludenti", in una nota a caldo dai toni tuttavia misurati data la scelta britannica di rinviare al 2027 la rottura definitiva sul 5G (un arco di tempo sufficiente a modificare eventualmente il quadro geopolitico) e di non toccare, forse anche per non rischiare di creare disservizi a milioni di utenti, il ruolo affidato al colosso cinese delle reti 3G e 4G attualmente operative nel Paese. Cautele criticate al contrario dal drappello di circa 60 deputati della lobby dei falchi filo-neocon della maggioranza Tory - capeggiati dall'ex leader Iain Duncan Smith - che avrebbero preteso un taglio più netto e ravvicinato dal dragone.

Huewei non ha mancato d'altronde di denunciare il passo indietro di Downing Street come frutto avvelenato di una vicenda "politicizzata" dalla "guerra commerciale" lanciata dall'amministrazione di Donald Trump contro Pechino, destinato a far arretrare tecnologicamente l'isola. Non senza negare ancora una volta d'essere un pericolo per la sicurezza dell'occidente, né sollecitare apertamente altri Paesi a guardarsi dal seguire l'esempio di Johnson. E a privilegiare piuttosto "la libera concorrenza". Per Londra non resta ora che attendere le ritorsioni di Pechino (temute soprattutto a livello commerciale in tempi di Brexit, dopo i grandi affari che non più di cinque anni fa avevano fatto evocare all'allora premier David Cameron "un'età dell'oro" nelle relazioni bilaterali). Ritorsioni già ventilate dall'ambasciatore in Gran Bretagna di fronte a un Regno che "parrebbe dimostrare di non avere una politica estera autonoma" dagli Usa e di voler "diventare nemico" della Cina: a maggior ragione dopo la recente scelta del governo Johnson di rispondere alle stretta imposta da Pechino a Hong Kong con l'offerta d'una corsia privilegiata per la cittadinanza britannica a una platea potenziale di circa tre milioni di cittadini dell'ex colonia. Intanto, nel resto d'Europa crescono le pressioni su Italia, Germania, Francia e altri Paesi dell'Ue (e della Nato) che a Huawei non hanno chiuso del tutto le porte, malgrado segnali recenti come l'esclusione dalla gara d'appalto del progetto 5G di Telecom. Mentre i dubbi si moltiplicano

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