Estero

È ancora notte sull'Europa

L’Ue resta divisa sul finanziamento della risposta al disastro del coronavirus

8 aprile 2020
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Bruxelles – In gergo si dice "intravedere uno spiraglio", ma non significa nulla. Di fatto, fino a questa sera, non si poteva ancora ipotizzare alcun accordo tra i paesi europei sul finanziamento del debito che si abbatterà sugli Stati più colpiti dal coronavirus. Quello che non era avvenuto martedì non è successo oggi, e solo domani mattina si saprà se finalmente i ministri economici dell'Eurogruppo hanno trovato l’intesa su una risposta economica alla crisi che sia all’altezza della situazione e delle aspettative di tutti. In ballo, avvertono analisti di ogni orientamento, non sono soltanto i bilanci di Italia, Francia, Spagna, Portogallo, ma il futuro della stessa Unione europea.

Come sempre, l'ennesima vigilia di negoziati è stata animata da finte fughe in avanti, schermaglie verbali, tentativi di conquistare posizioni per arrivare al tavolo su posizioni di forza. Nella più consolidata tradizione comunitaria (se mai tale termine ha ancora un significato). Giuseppe Conte, comprensibilmente nella necessità di ottenere una condivisione del debito, quale che sia il nome che le si voglia dare, ha detto alla Bild Zeitung che se le regole europee non verranno "ammorbidite", ogni Paese dovrà "fare da sé" e addio Europa. Come se l'Italia potesse permetterselo.

Ma per quanto spericolata possa essere stata la sortita del presidente del Consiglio italiano, un sostegno inatteso gli è venuto da Der Spiegel, solitamente poco tenero nei confronti dell'Italia. "L'Europa sta affrontando una crisi esistenziale. Apparire come il guardiano della virtù finanziaria in una situazione del genere è gretto e meschino", ha scritto (in italiano!) nella sua edizione online  il settimanale, riferendosi alle resistenze tedesche. "Forse conviene ricordare per un momento chi è stato a cofinanziare la ricostruzione della Germania nel Dopoguerra. O il governo tedesco davvero non si rende conto di quello che sta rifiutando con tanta noncuranza, oppure si ostina a non capire, spinto dalla paura che il partito populista Alternative für Deutschland (AfD) possa strumentalizzare gli aiuti ai vicini europei per la propria propaganda". Invece di dire onestamente ai tedeschi che non esistono alternative agli Eurobond, ha aggiunto il direttore dello Spiegel, "in una crisi come questa, il governo Merkel insinua che ci sia qualcosa di marcio in questi bond. Ovvero, che sarebbero i laboriosi contribuenti tedeschi a pagare, in quanto gli italiani non sarebbero mai stati capaci di gestire il denaro".

Il rifiuto olandese

Ma la rigidità tedesca non è sola. E forse non così insormontabile. Questa sera, scrivevano le agenzie, Germania e Francia stavano negoziando un accordo tra chi vuole usare il Mes (il fondo salva stati, "famigerato" secondo molti, dopo l'esperienza greca) come prima arma di difesa e chi vuole qualcosa di diverso per condividere il peso della ricostruzione, sotto forma di Eurobond. Ma restava il blocco olandese su entrambe le ipotesi: no ad Eurobond e a Mes senza condizioni. 

Quello olandese (di un Paese, cioè, che esercita una spietata concorrenza fiscale nei confronti di tutti gli altri) è un veto “controproducente e incomprensibile” secondo una durissima presa di posizione della presidenza francese, convinta che non potrà durare. Il ministro dell’Economia Bruno Le Maire ha assicurato che Parigi "metterà tutto il suo peso in questa battaglia”, e con il collega tedesco Olaf Scholz ha già lavorato nella notte di martedì per favorire l’intesa. Parigi, alleata di Italia e Spagna nella partita degli Eurobond, sarebbe riuscita a portare la Germania su posizioni più accomodanti: nelle conclusioni non si parla in modo diretto di titoli comuni, ma di un Fondo per la ripresa, come proposto proprio dalla Francia qualche giorno fa.

Una volta stabilita la necessità di un fondo nuovo, si discuterà di come alimentarlo: Italia, Spagna e Francia vorrebbero i titoli comuni, mentre la Germania guarda ancora a risorse comuni già esistenti come il bilancio Ue. “Abbiamo parlato di un Recovery fund da sviluppare e bisogna accordarsi sui criteri di organizzazione. Questo dovrà essere il lavoro delle prossime settimane e mesi”, ha detto Scholz a Berlino dopo l’Eurogruppo. Il Recovery Fund sembra un concetto sempre più accettabile da tutti, anche se ancora non si entra nei dettagli di come alimentarlo. Ma non sarebbe impossibile trovare un compromesso su risorse comuni limitate che facciano da garanzia a una limitata emissione di titoli. Circostanziando bene l’operazione e quindi il rischio da mettere in comune, può diventare digeribile per tutti. Ma non risolutiva, perché questo strumento nascerebbe già depotenziato e non potrebbe mai raggiungere le molte centinaia di miliardi di euro sperati dai Paesi del Sud.

Il diktat ai ‘latini’

Il Mes è quindi imprescindibile. Non a caso è stato l’oggetto del duro confronto di martedì notte. L’Olanda, spalleggiata da Austria e Finlandia, non vuole ridurre troppo le condizioni per accedere agli aiuti del vecchio salva-Stati. È disposta ad azzerarle solo se i fondi vengono spesi per la sanità. Non vuole una riedizione della troika, ma insiste per lasciare alcune condizionalità di tipo macroeconomico. Ovvero: riforme e conti in ordine in cambio di aiuti. “Il Mes è prestatore di ultima istanza e secondo noi l’uso di questo fondo deve avvenire con una forma di condizioni", ha ribadito il ministro olandese delle finanze, Wopke Hoekstra. L'importante è tenere in riga quegli spendaccioni dei latini, costi quel che costi (all’Europa, s’intende).

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