Estero

Dubbi sul 'picco' dei contagi in Italia

Molto cauti gli scienziati sull'andamento dell'epidemia, in forse anche l'allentamento delle misure

3 aprile 2020
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Roma - Il picco del contagio da coronavirus non è ancora passato in Italia. Secondo i dati della Protezione civile, i malati sono 85.388, 2.339 in più (ieri erano 2.477); i guariti sono 19.758, 1.480 in più (ieri 1.431); i morti sono 14.681, 766 in più (ieri 760). Morti altri 4 medici, sono 77 dall'inizio dell'epidemia. Il direttore della Protezione Civile Borrelli, in una intervista alla radio in mattinata, aveva detto che anche il Primo Maggio si dovrà passare chiusi in casa. Poi ha precisato che, allo stato, l'unica data è il 13 aprile e che lo sviluppo dipenderà dall'andamento dei contagi. Il ministero della salute ha intanto diramato una circolare che dà via libera ai tamponi rapidi, a partire dai soggetti più fragili e dai sanitari a rischio. Nelle zone rosse sì anche al test in laboratori mobili, 'drive in-clinics'.

 "La curva è molto piatta, siamo su una sorta di altopiano", ha detto all'Ansa il fisico Enzo Marinari, dell'Università Sapienza di Roma. Il problema, ha rilevato, è che questa situazione si sta protraendo troppo a lungo, per pensare a una riapertura in tempi brevi. Resta alto anche il numero dei pazienti in terapia intensiva. "E' una lentezza - ha proseguito - che sembrerebbe suggerire che il fattore di trasmissibilità", ossia il fattore R che indica il numero di persone che possono essere contagiate da chi ha l'infezione, "si sia abbassato molto vicino a 1, ma di questo non siamo davvero sicuri: è difficile andare verso la riapertura se non c'è situazione stabile". Per poter pensare a un'eventuale fase 2 è necessario che l'indice R sia inferiore a uno: in quel caso si assisterebbe alla riduzione dei casi. In caso contrario, invece, non potrebbe che esserci un aumento. Questo, secondo l'esperto, potrebbe indicare che "siamo al limite", vale a dire che "le misure di contenimento costituiscono il minimo assoluto per non andare verso una crescita esponenziale: i dati- ha detto - invitano a ragionare su questo". Una lieve riduzione si osserva in Lombardia, dove si comincia a vedere un calo nel numero dei decessi, "ma non si vede lo stesso su scala nazionale, dove i decessi sempre lo stesso numero".

Di rallentamento oggi ha parlato anche il presidente dell'Istituto Superiore di Sanità (iss), Silvio Brusaferro, il quale nella conferenza stampa organizzata dall'Istituto ha rilevato che "non c'è nessuna zona del Paese dove il virus non circoli, sebbene ci siano delle differenze da zona a zona". Senza dubbio, ha aggiunto, "la partita è ancora aperta" e siamo quindi in gioco. Di conseguenza le misure di contenimento continuano a essere la principale arma per contrastare l'epidemia. Nonostante qualche segnale incoraggiante, per Brusaferro bisogna comunque considerare, che "non è detto che la curva scenda per forza. Se non saremo efficaci nel mantenere il distanziamento, quella discesa potrebbe interrompere e si creerebbe una valle per poi ricrescere". Dell'efficacia delle misure restrittive ha parlato anche l'epidemiologo Giovanni Rezza, dell'Iss, per il quale senza il lockdown in sei mesi avremmo avuto un'immunità di gregge a costo di un altissimo costo in termini di morti. "Se avessimo mollato al Sud - ha proseguito - avremmo avuto tante Codogno". Adesso, invece, è possibile guardare al Sud con un "moderato ottimismo". Guardando alla riapertura, poi, per Rezza non potrà che essere graduale per ridurre al minimo il rischio di una ripresa del numero dei casi, anche perché l'indice di trasmissibilità è attualmente in media intorno a 1, ossia una persona con l'infezione può trasmetterla a un'altra, ma varia da regione a regione.

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