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In Italia sono milioni i contagiati dalla povertà

Intervista alla sociologa Chiara Saraceno: 'Dal 2008 la povertà assoluta italiana è tra le più alte dei paesi occidentali'. Si profila una catastrofe sociale

Solidarietà napoletana

Intervista alla sociologa Chiara Saraceno: 'Dal 2008 la povertà assoluta italiana è tra le più alte dei paesi occidentali'. Si profila una catastrofe sociale

2 aprile 2020
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Quando i poveri si contano a milioni, il coronavirus è un accidente che si aggiunge a un disastro sociale già in corso, non ne è la causa. Ma in Italia, l’estensione e la gravità raggiunte dall’epidemia fanno temere una vera catastrofe. La conferma viene dai 400 milioni trasferiti dal governo Conte ai Comuni e destinati alla distribuzione di ‘buoni spesa’ per famiglie e persone più vulnerabili. E ancora ieri, la Caritas ha reso noto che le richieste di aiuti alimentari sono aumentate del 50%.

Ne è ben avvertita Chiara Saraceno, nota sociologa e docente universitaria, che alle disparità sociali e all’aumento delle fasce di povertà che ne deriva ha dedicato numerosi studi. “Bisogna ricordare - ci spiega - che dalla crisi del 2008 la povertà assoluta in Italia era tra le più alte dei paesi occidentali, e ha continuato ad aumentare. Forse nell’ultimo anno si era stabilizzata restando tuttavia tripla rispetto agli anni pre-crisi. Lo scenario è dunque problematico: chi stava male starà peggio e, soprattutto, si aggiungeranno alla categoria del poveri persone attive in aree professionali che prima ne erano fuori, penso ai piccoli commercianti, artigiani. Per molti di loro rischia d’essere una esperienza traumatica, quella di chi ‘cade’ nella povertà senza averla mai considerata come possibilità”. 

Vi saranno attività costrette alla chiusura e non più in grado di riprendere: incapaci ormai di riscuotere crediti e saldare debiti. A questi si aggiungerà, si stima un'altra decina di milioni di milioni di persone: i due, circa, di lavoratori precari, con contratti a tempo o a chiamata; i dipendenti che già si trovavano in cassa integrazione; gli stagionali, soprattutto nell’agricoltura; le moltissime false partite Iva, in realtà lavoratori dipendenti ma costretti a figurare autonomi, assumendo su di sé gli oneri sociali e privi di garanzie; fino ai quasi quattro milioni - un numero necessariamente approssimativo - di lavoratori in nero. “Che non è - precisa Saraceno - solo quello del dentista, dell'avvocato o dell’idraulico che non rilasciano la fattura, ma in larga parte quello di chi vi è costretto per ragioni di  sussistenza, dei braccianti stranieri, delle domestiche o delle badanti mai regolarizzate”.

Uno scenario che facilmente potrebbe dare luogo a tensioni sociali le cui manifestazioni, per ora soltanto embrionali, non sono mai pacifiche. “Un disagio - dice ancora Saraceno - al quale soprattutto al Sud si cerca di ovviare ricorrendo a una pletora di occupazioni informali, lavoretti abusivi e che ora, proprio perché ‘non registrati’ non potrebbero nemmeno figurare tra quelli per i quali il governo ha già disposto qualche forma di indennità”. In realtà sembra che la gravità delle proiezioni stia spingendo il governo italiano a inglobare anche il cosiddetto ‘sommerso’ tra i beneficiari del provvedimenti ad hoc, “dai quali rischierebbero di venire esclusi, non avendo mai avuto un lavoro ufficiale”.

E stiamo per ora parlando in termini emergenziali - i buoni spesa, i 600 euro (destinati, sembra, a diventare 800) di indennità riconosciuti agli autonomi, e le altre già allo studio - ma quando verrà il momento di ragionare rivolti al lungo periodo, avverte Saraceno, bisognerà riconsiderare a fondo un modello economico e sociale che ha dimostrato, se non il proprio fallimento, lacune gravissime. Basti dire che tra il 2008 e il 2018 gli italiani che versano in povertà assoluta (quelli che secondo la definizione dell’Istituto nazionale di statistica, Istat, non sono in grado di scaldarsi d’inverno e di vestirsi adeguatamente) sono raddoppiati: da due milioni e mezzo a cinque.

“Per questo sono convinta che bisognerà modificare ed estendere i requisiti di accesso al reddito di cittadinanza, o come lo si vorrà chiamare - spiega ancora Saraceno - innanzitutto nella parte che chiede di certificare il proprio reddito nei due anni precedenti la richiesta: non lo si può pretendere dai milioni di persone che il lavoro l’hanno perso oggi e non possono attendere due anni. Ma anche le cifre erogate a favore dei lavoratori autonomi andranno ricalibrate, non limitandosi a una cifra standard ma adeguandole, ad esempio, alla perdita reale di reddito e alla composizione della famiglia. E bisognerà ripensare ai meccanismi dello stesso reddito di cittadinanza che di fatto non incentivano la ricerca di un lavoro, dato che per ogni euro derivante da una occupazione registrata, uno viene sottratto dal reddito”.

E soprattutto, insiste la nostra interlocutrice, bisognerà rendere strutturali le misure di sostegno al reddito, riconoscendo che al di sotto di una soglia precisa non è neppure possibile cercare un lavoro. Ciò che, peraltro, moltissimi italiani sperimentavano ben prima del dilagare del contagio da Covid-19, e che non muterà, se non in forma aggravata, anche quando la pandemia potrà dirsi sconfitta, quando bisognerà affrontare una ricostruzione economica e sociale i cui tempi non possiamo immaginare.

E sarà in grado lo stato di affrontare l’onere economico di questa impresa? “Tutti dovremo prendervi parte secondo le nostre possibilità. Riparlare in questo senso di una ‘patrimoniale’ mi sembrerebbe quantomeno sensato”. Non fosse che al solo nominarla ti sparano.