l'intervista

Usa 2020, Make Biden Great Again

L’ex vice di Obama sembrava spacciato, invece il Super Tuesday lo riporta in vantaggio. Sconfitto Sanders, Bloomberg molla. Ne parliamo con Francesco Costa

5 marzo 2020
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“Miracolo” è una delle parole che giravano di più ieri mattina tra i commentatori del Super Tuesday democratico. Miracolo dell’ex vicepresidente Joe Biden, naturalmente, che pareva spacciato fino alla settimana scorsa, e invece alle primarie di martedì ha stracciato il favorito Bernie Sanders in otto Stati su quattordici; portando a casa – ed è la cosa più importante – la maggioranza nel numero di delegati e di voti assoluti (vedi accanto e sotto). Di solito il Super Tuesday decide di fatto chi correrà per la Casa Bianca, ma stavolta la vittoria non è ancora scontata. Ne parliamo con Francesco Costa, vicedirettore dell’autorevole quotidiano online ‘Il Post’ e autore del recente ‘Questa è l’America’ (Mondadori 2020), lucido vademecum per chi ha bisogno di riordinarsi le idee sugli Usa di oggi, ma anche di ieri e di domani.

Costa, quello di Biden è davvero un miracolo?

Si tratta di un risultato stupefacente, se si pensa che una settimana fa sembrava impossibile non solo che a perdere fosse Sanders, ma anche che a vincere fosse un Biden più volte a un passo dal ritiro.

Cos’è cambiato così alla svelta?

Il successo di Biden sabato in South Carolina è stato importante, anche perché ha determinato il ritiro di Pete Buttigieg e Amy Klobuchar, che poi lo hanno appoggiato. Per rafforzare il consenso tra gli afroamericani ha aiutato anche l’endorsement di Jim Clyburn (il deputato afroamericano più influente al Congresso, originario proprio del South Carolina, ndr). Infine Elizabeth Warren, ormai fuori dai giochi, ha però distrutto Michael Bloomberg nel primo dibattito televisivo che l’ha visto presente. Tutti questi fattori hanno portato il fronte maggioritario dei Democratici a sostenere Biden, che così ha potuto contare su un messaggio forte: il candidato vero sono io.

Si direbbe più un risultato ‘di sistema’ che un merito del candidato.

Non credo. Biden ha comunque dimostrato di saper convincere attivamente un elettorato diversissimo, da Sud a Nord, dalle città alle campagne. In un posto considerato di sinistra come il Massachusetts ma anche nell’enorme Texas, normalmente più conservatore. Ha saputo unire pezzi di Paese molto diversi tra loro.

Però Biden, visto da qui, parrebbe un candidato piuttosto amorfo ed eccessivamente centrista.

In realtà tutto il partito si è spostato significativamente a sinistra, anche le proposte di Biden sulla sanità sono più progressiste di quelle di Obama. Tant’è vero che ha saputo convincere pure in Vermont, lo Stato di Sanders, dove questi ha vinto, ma scendendo dall’80 al 50% dei voti. Ha avuto successo la dichiarata volontà di “guarire questa nazione”.

Sanders, invece, ha preferito la battaglia al dialogo.

E così facendo si è alienato la base di tutti gli altri candidati, perfino quelli più affini come Elizabeth Warren. La sua strategia di denunciare tutti gli altri come ‘establishment’ non ha funzionato, perché tagliare i ponti non aiuta quando il ventaglio di candidati inizia a restringersi e diventa importante raccogliere l’endorsement di chi lascia la gara. Non ha funzionato neppure il tentativo di mobilitare chi prima non votava, in particolare i giovani.

Insomma, Sanders è finito?

Non ancora, anche perché la sua campagna ha raccolto più fondi di quella di Biden e di certo vorrà combattere fino all’ultimo. In più bisogna ricordarsi che arriva da una posizione di forza. Ma di certo ora è molto più debole.

Finito è invece il miliardario di New York Michael Bloomberg, che ha già mollato la gara e appoggiato Biden.

Questo smentisce un luogo comune secondo il quale in America vince sempre chi ha più soldi. D’altronde, se così fosse, Jeb Bush avrebbe ottenuto la nomination nel 2016, e oggi Hillary Clinton sarebbe la prima donna presidente degli Stati Uniti.

Nella sua newsletter sull’America, ‘Da Costa a Costa’ (dacostaacosta.net), lei ha detto che Bloomberg ‘ha provato a vincere la partita giocando solo di testa’. Cioè?

Ha trascurato tutte le primarie precedenti e gli Stati più periferici, pensando di poter vincere semplicemente investendo molti soldi in quelli maggiori. Ma la narrazione delle primarie, la relazione con elettori comunque piuttosto attenti, si costruisce nel tempo e con la presenza sul terreno.

Si rischia una ‘contested convention’, nella quale nessuno dei candidati prende la maggioranza assoluta e devono entrare in gioco i ‘superdelegati’ scelti dai leader di partito?

Non si può escludere, ma credo che oggi questa prospettiva si allontani. Nel momento in cui i candidati forti si riducono a due, diventa più facile che uno ottenga la maggioranza. E anche se per avere il vantaggio assoluto servissero i superdelegati, difficilmente questi andrebbero a rovesciare le tendenze già delineate dal voto: altrimenti spaccherebbero il partito.

Supponiamo che sia Biden a vincere. Sarà anche il vincitore a novembre, contro un Trump così abile a invadere il campo mediatico?

Questo è difficilissimo da dire. Biden mi pare il candidato ‘meno imperfetto’ per sfidare Trump e recuperare una parte dell’elettorato moderato e indeciso, che di fatto è quello che può decidere il risultato. Ma chi è già alla Casa Bianca parte storicamente avvantaggiato. In ogni caso possono ancora contare moltissimo sorprese e fattori inaspettati, come fece lo scandalo sulle e-mail di Hillary Clinton quattro anni fa.

Oppure il coronavirus.

Oppure il coronavirus. Naturalmente è difficile che gli americani incolpino il presidente per un’epidemia, ma dovrà dimostrare di saperla gestire: ormai non è più un outsider. Tanto più che gli effetti sull’economia si stanno già facendo sentire: ieri la Fed ha operato il taglio dei tassi di interesse più alto dai tempi della crisi nel 2008.

L'analisi

Sembrava che il candidato della ‘sinistra sinistra’ Bernie Sanders fosse in fuga, e invece. Aggiudicandosi almeno 9 dei 14 Stati nei quali si sono tenute ieri le primarie Dem – e soprattutto la maggior parte dei delegati che sceglieranno il candidato alle Presidenziali (vedi infografica) –, l’ex vicepresidente Joe Biden si ritrova in vantaggio per la nomination del partito alle presidenziali. Certo, Sanders vincerà quasi sicuramente in California – Stato da 40 milioni di abitanti e 415 delegati, storicamente liberal – ma intanto Biden è primo in Texas.

Escono definitivamente dai giochi Elizabeth Warren e l’ex sindaco di New York Michael Bloomberg, che pur con tutti i suoi soldi – i suoi servizi informatici per la finanza ne fanno uno degli uomini più ricchi d’America – ha ottenuto solo il minuscolo territorio delle Samoa. E proprio Bloomberg ha confermato ieri che sosterrà Biden. Ad aiutarlo, stando ai primi exit poll, il voto degli afroamericani, ma anche l’appoggio di Amy Klobuchar e Pete Buttigieg, gli altri due candidati moderati che si erano ritirati nei giorni scorsi.

E ora cosa succede? Difficile dirlo con certezza. Di certo era dal 1988 – anno del primo Super Tuesday – che non si usciva da questo martedì con la certezza di chi sarebbe andato a sfidare il presidente in carica. Uno dei siti di statistica politica più seri, FiveThirtyEight, paventa addirittura una ‘convention contesa’, ovvero tale da non garantire a nessuno i quasi 2mila delegati necessari.

Nelle prossime settimane, quindi, bisognerà fare attenzione a una serie di variabili e di eventi: i risultati in termini di fundraising, dato che Sanders finora ha raccolto più di Biden in Stati chiave e se la vorrà giocare fino all’ultimo; l’effetto ‘traino’ del successo di Biden sugli indecisi negli Stati che non hanno ancora votato; il risultato in Michigan, Stato operaio della Rust Belt dove nel 2016 vinse Sanders alle primarie e perse Hillary davanti a Trump; e quello in Florida, altro megastato da 248 delegati contraddistinto da una popolazione latinoamericana, ma piuttosto conservatrice in quanto composta in buona misura da dissidenti cubani anticastristi e loro eredi ostili alla ‘détente’ obamiana.

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