Regno Unito

Per entrare in Gran Bretagna potrebbe volerci il passaporto

Brexit, il governo di Johnson ha presentato oggi la riforma sull'immigrazione. Dal 2021 per lavorare si dovrà conoscere l'inglese

(Keystone)
19 febbraio 2020
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Per entrare nel Regno Unito potrebbe non bastare più una semplice carta d’identità e a chi vorrà trovare lavoro sulle isole britanniche dovrà come prima cosa conoscere l’inglese. La Gran Bretagna si prepara a stringere le maglie dei suoi confini con l’Europa per il dopo Brexit. E lo fa annunciando, a partire dal 2021 e dalla fine della transizione concordata con Bruxelles, un drastico quanto contestato giro di vite sugli ingressi futuri dei migranti “a bassa qualifica”, senza contratto di lavoro preventivo e deboli nella lingua.

La riforma, messa in cantiere da tempo dal governo di Boris Johnson secondo un’interpretazione tutta british del modello a punti ideato in Australia, suscita polemiche nel Regno - dal mondo sindacale, a quello di alcune categorie imprenditoriali, alle opposizioni in Parlamento - e allarmi al di là della Manica. Ma è stata illustrata e difesa ieri a spada tratta dalla ministra dell’Interno, Priti Patel, figlia d’immigrati indiani e falco della destra Tory più euroscettica.

Cosa prevede il sistema a punti

Stando ai piani di Downing Street, la fine della libertà di movimento con il resto dell’Europa, dunque, passerà soprattutto dall’obbligo di un visto per chi vorrà fermarsi nel Paese. Inoltre, come riferisce il Guardian, carte d’identità di nazioni come Italia e Francia non saranno considerate valide a causa del rischio di frodi. Il visto di residente potrà essere concesso solo ai richiedenti - europei e non - cui verrà attribuito un punteggio minimo di 70 punti stabilito sulla base di requisiti chiave divisi in due categorie: 50 i punti base obbligatori, fra cui 20 se si ha già un’offerta di lavoro (da 25’600 sterline all’anno in su, ovvero 32’500 franchi), altri 20 se si hanno specifiche competenze e un percorso di formazione, infine 10 punti per la conoscenza dell’inglese a livello base. Gli altri 20 punti, pur necessari, raccolti sulla base di più variabili, dal salario ai titoli di studio, al settore specifico in cui si verrà impiegati.

Lo scopo del sistema e le critiche

Il sistema di punteggio è concepito per favorire l’afflusso di persone “di talento” e ridurre gli arrivi di chi mette un piede sull’isola senza conoscere bene l’idioma per poi lavorare in mansioni sottopagate e imparare la lingua. L’opposizione contesta l’efficacia del piano, sostenendo che il modello australiano filtra ma incoraggia l’immigrazione utile, mentre questa versione la scoraggia tout court. Il Labour ha chiesto eccezioni almeno nei settori strategici come la sanità, dove molti ruoli, specialmente infermieristici, sono coperti in larga parte da stranieri. Mentre i Liberaldemocratici accusano il governo di “xenofobia”. E la leader degli indipendentisti scozzesi e ‘first minister’ dell’esecutivo di Edimburgo, Nicola Sturgeon, ha parlato di conseguenze “devastanti”, almeno a breve termine, per l’economia. Christina McAnea, sindacalista nel pubblico impiego, ha evocato “un disastro assoluto nel sistema sanitario” mentre Minette Batters, leader del Sindacato nazionale agricoltori, ha detto di temere “conseguenze gravi” in un settore dove “l’automazione non è ancora un’opzione”. La Confederation of British Industry ha dal canto suo elogiato certi aspetti della riforma, sollevando riserve sulle eccessive limitazioni per il reperimento di forza lavoro.

La posizione del governo

Critiche cui la ministra dell’Interno ha replicato facendo come le imprese potranno contare ancora sugli oltre 3,2 milioni di cittadini Ue che già lavorano nel Regno (non toccati dalle nuove regole, come chi si registrerà come residente entro il 30 giugno 2021). Per il resto si dovrà “abbandonare” la caccia al lavoro degli immigrati “a basso costo”, investendo sui lavoratori britannici o nello “sviluppo dell’innovazione tecnologica”. Quasi come a dire: più robot e meno stranieri.

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