Estero

In Irlanda voto storico: la prima volta del Sinn Fein

Secondo gli exit poll, la sinistra nazionalista avanza e tocca il 22,3%, determinando un testa a testa con gli altri due partiti in corsa Fine Gael e Fianna Fail

Mary Lou McDonald a capo del Sinn Fein ©Keystone
9 febbraio 2020
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Venti di rivoluzione in Irlanda, secondo gli exit poll delle elezioni anticipate di ieri. La sinistra nazionalista del Sinn Fein (dal gaelico, letteralmente "noi stessi"), paladino dei sogni di riunificazione con l'Ulster alimentati anche dai possibili contraccolpi della Brexit sul grande vicino britannico, è per la prima volta in corsa per il traguardo di primo partito della Repubblica da un secolo: e, anche se la maggioranza assoluta resta fuori portata e non potrà andare al governo, appare in grado di condizionare l'agenda futura del Paese.

Lo scrutinio inizia oggi e si concluderà domani, ma gli exit diffusi dalla tv pubblica RTE indicano un testa a testa all'ultima scheda. Con il Sinn Fein di Mary Lou McDonald - la leader 50enne subentrata a Gerry Adams e protagonista del cambio generazionale che ha portato quello che fu il braccio politico della guerriglia dell'Ira da forza di riferimento della trincea repubblicana nel solo Ulster a partito competitivo pure a Dublino - che avanza al 22,3%. E i due partitoni filo-Ue di centro-destra che da sempre si contendono il potere nell'isola, il Fine Gael del premier uscente Leo Varadkar (Ppe), il più giovane nella storia irlandese, oltre che il primo gay dichiarato e figlio di padre immigrato, e il Fianna Fail di Micheal Martin (liberali), rispettivamente al 22,4 e al 22,2%.

Sinn Fein vincitore morale, pur non avendo la maggioranza assoluta

Dato il margine di errore, si tratta di una parità virtuale che i risultati reali potrebbero far oscillare. Mentre resta da decidere l'assegnazione dei seggi secondo un complicato sistema proporzionale trasferibile (con indicazione delle seconde e terze preferenze) destinato alla fine a lasciare comunque spazio a una coalizione fra Fianna Fail e Fine Gael (che in campagna elettorale hanno escluso accordi col partito della McDonald) o un governo retto dalla stampella di gruppi minori come i Verdi e i Laburisti.

Ma il Sinn Fein, pur avendo presentato solo 42 candidati a fronte degli 80 seggi necessari per la maggioranza assoluta, resta il vincitore morale: la risposta di una parte non piccola d'irlandesi sia alla sfida della Brexit, sia soprattutto ai problemi sociali.

Un'agenda politica che guarda alle disuguaglianze con un programma economico e su diritti civili

Un partito la cui ascesa rompe un tabù sull'isola verde, quello dei vecchi legami con la disciolta Ira e la lotta armata durante la sanguinosa stagione dei 'troubles', a oltre 20 anni dall'accordo di pace del Venerdì Santo. E mette quanto meno sul tavolo del confronto una piattaforma radicale che invoca un referendum sulla riunificazione entro 5 anni, problematico e ad alto rischio di conflitto, ma meno aleatorio del passato sullo sfondo dei potenziali effetti sull'Irlanda del Nord del divorzio del Regno Unito dall'Ue; nonché un programma economico e sui diritti civili di sinistra-sinistra, ispirato agli spagnoli di Podemos o a Jeremy Corbyn su dossier quali la spesa pubblica, la sanità, l'edilizia popolare.

Il tutto nel quadro d'un Paese che – commenta all'Ansa da Dublino il politologo Aiden Corkery – mostra di voler guardare in primis ai suoi "molti problemi interni" e alle disuguaglianze che imperversano malgrado il rilancio della crescita del Pil. Problemi che il governo del "modernizzatore" Vardakar aveva creduto "d'ignorare concentrandosi sulla Brexit" o di affrontare insistendo su ricette liberiste-moderate: "E che ora potrebbero presentare il conto".


 
 

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