Estero

Migranti: intervista a Giorgia Linardi, portavoce di Sea Watch

È l'Ong di Carola Rackete, e come le altre attive nel Mediterraneo combatte contro la politica dei porti chiusi e le fake news diffuse per screditarla

(Federica Mameli / Sea Watch)
21 dicembre 2019
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«Capitana de ’sto cazzo!» «In galera» «Puttana». Basta una botta ai social per recuperare gli insulti a Carola Rackete, la comandante di Sea Watch 3 che lo scorso 29 giugno, per far sbarcare quaranta migranti in alto mare da oltre due settimane, forzò un blocco della Guardia di finanza davanti al porto di Lampedusa. Ingiurie simili vengono rivolte regolarmente anche a Giorgia Linardi, che ha 29 anni e di Sea Watch è la portavoce per l’Italia. Lei cerca di «volare alto», ci spiega, «ma è chiaro che ogni tanto il colpo ti arriva. Non è bello sentirsi augurare uno stupro di gruppo, fra le altre cose». Questa specie di sindrome di Tourette collettiva sarà anche frutto delle dinamiche di Facebook e Twitter, d’accordo. Ma l’impressione è che dietro ci sia anche altro: una demonizzazione sistematica delle Ong – i «taxi del mare» come le definiscono i populisti italiani, gialli o verdi –, una strategia di disinformazione che le accusa di incoraggiare il traffico di vite umane.

Linardi, le leggo qualche riga che un leghista ticinese ha dedicato ai naufraghi: “La responsabilità di queste morti non è di chi chiude i porti. Nossignori. La responsabilità è di chi aizza le partenze. Quindi dell’establishment immigrazionista e delle Ong. Sono loro i complici di scafisti e passatori”.

È un’accusa ampiamente smentita a livello accademico e scientifico. Una lunga serie di studi indipendenti dimostra come non ci sia alcun ‘pull factor’, nonostante questo argomento sia ancora usato da molti politici. È un modo per distrarre l’attenzione, mentre bisognerebbe concentrarsi sulla fittissima rete dei trafficanti di vite umane: rispetto a quella, è chiaro che le quattro o cinque barche delle Ong sono solo un capro espiatorio.

Vi accusano anche di non collaborare con le autorità e di compiere azioni provocatorie. Ci hanno accusato anche di spegnere gli strumenti di localizzazione per sfuggire al controllo delle autorità: invece restiamo sempre in contatto, salvo problemi tecnici, ed è un po’ assurdo accusarci di ‘attirare’ i migranti e al contempo di renderci irreperibili. Noi poi ci siamo sempre coordinati con la Guardia costiera prima che al Ministero dell’interno arrivasse Salvini, e sono stati loro a chiederci di dotarci di navi più capienti.

In ogni caso, anche ora che Salvini non è più al governo i porti restano chiusi.

Adesso l’attenzione mediatica è meno forte, ma il tema rimane molto divisivo a livello di opinione pubblica, in maniera del tutto ingiustificata: non c’è nessuna invasione in corso, nel 2019 sono arrivati in Italia circa 10mila migranti. In Grecia, per dare un termine di paragone, ne sono arrivati oltre 60mila. Il governo attuale non ha portato un cambio radicale di approccio: ci sono ancora molti casi di navi al largo in attesa di un porto.

La vostra invece è sotto sequestro dallo sbarco di Rackete a Lampedusa.

Sì, ma non a causa di quell’ingresso: col Decreto sicurezza bis basta sostare in acque italiane senza autorizzazione per subire il sequestro.

Avete violato la legge, però.

Carola ha fatto quanto le imponeva il diritto internazionale, che è chiarissimo nel dire che le persone in Libia non si possono riportare: il paese è esplicitamente classificato dall’Onu come destinazione non sicura, respingerle lì sarebbe un crimine.

Inoltre, conformemente anche al diritto della navigazione, ha effettuato lo sbarco quando l’incolumità dei naufraghi, secondo i medici, non poteva più venire garantita: se a quel punto non fosse sbarcata e fosse morto qualcuno, la responsabilità sarebbe ricaduta su di lei.

Non poteva sbarcare altrove?

Nessuno ci ha offerto un porto. Le medaglie e i riconoscimenti per Carola sono arrivati dopo. Lì per lì si è solo dovuta prendere gli insulti della folla ammassata sulla banchina, che le autorità non hanno neppure cercato di spostare.

Un’altra accusa che vi viene rivolta spesso è quella di ricevere fondi da grandi finanziatori occulti: un nome che i complottisti fanno sempre, non senza insinuazioni antisemite, è quello del miliardario-filantropo George Soros.

Al netto delle letture complottistiche, la verità è che riceviamo soprattutto piccole donazioni di privati cittadini, in maggioranza tedeschi. L’unico grande donatore fisso è la Chiesa evangelica tedesca (vedi sotto, ndr).

Resta il fatto che molti sono preoccupati dall’idea di accogliere i migranti, percepiscono una situazione d’emergenza.

Non è un’emergenza. È un fenomeno strutturale, di dimensioni gestibili, che come tale va affrontato. Ad esempio attraverso una politica lungimirante di visti, che non costringa a mettersi in mano ai trafficanti di persone. Poi migliorando le strutture di accoglienza, cosa che anche questo governo in Italia continua a evitare. E più nel breve termine, ponendo fine allo scempio al quale assistiamo in Libia.

Scempio?

L’Unione europea non riesce a trovare un’intesa per rispondere in modo coordinato. Al massimo si arriva a qualche piccolo accordo su base volontaria, che può cadere dall’oggi al domani. Si preferiscono scelte miopi e brutali, come quella di supportare la Libia e le sue autorità, sempre che di autorità e non di milizie si possa davvero parlare. Questo per far sì che i migranti siano trattenuti nei loro campi di detenzione.

Il tutto con l’Italia a fare da braccio esecutivo: per bloccare i migranti in mare vicino alle coste, per rispedirli indietro e lasciarli in balìa di questi centri dove subiscono violenze e arbitri, e vivono in condizioni igieniche disumane. A dirlo non siamo solo noi: le Nazioni Unite hanno parlato di “orrori inimmaginabili”. (Si veda il rapporto dell’Alto commissariato per i diritti umani pubblicato a dicembre 2018, ndr)

Lei è arrivata a Sea Watch agli inizi delle sue operazioni, nell’estate 2015, come volontaria dopo un master a Ginevra in Diritto internazionale. Poi ha deciso di restare a lavorarci, nonostante gli insulti e le difficoltà. Chi glielo fa fare?

Mi sono resa conto di essere diventata testimone di eventi di portata storica, eventi che mi impedivano di volgere lo sguardo altrove. E quindi ho deciso di rimanere. Per vedere coi miei occhi e capire con la mia testa quello che stava accadendo. E per dare una mano.

Quando ha iniziato a collaborare con Rackete?

Ci siamo conosciute nel 2016. Ricordo che dovemmo intervenire su un naufragio dal quale abbiamo potuto soccorrere alcuni naufraghi, ma molti sono annegati. Mi toccò spiegare ai volontari che dovevamo legare i giubbotti di salvataggio ai piedi e alle mani dei cadaveri, per evitare che andassero a fondo. Ricordo un volontario, Martin, padre di tre figli, che cullava istintivamente un neonato ormai morto.

Non ci sono mai problemi di ordine e rispetto reciproco a bordo?

È stupefacente quanto di rado capitino screzi, se si pensa che i migranti sono fortemente debilitati dal viaggio, e che anche una volta soccorsi continuano a soffrire il mal di mare, a vomitare, devono dormire per terra, sono esposti al caldo e alla pioggia. Si riesce sempre a risolvere le tensioni, senza bisogno di misure punitive.

E poi ci sono i bei ricordi.

Ad esempio i parti a bordo, che diventano una festa per tutti. Le persone che si accalcano sul ponte appena scorgono la costa italiana, in totale silenzio, sprigionando un’energia che puoi toccare con mano. O quelli che quando salgono ti ringraziano per il fatto di essere vivi, e ti fanno ricordare che tu non l’hai mai fatto.

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