Estero

Brexit, in Scozia prende quota la secessione da Londra

Si riaccende una rinnovata voglia d'autonomia per scongiurare l'uscita dall'Ue e dopo le urne c'è il rischio di scontro fra Westminster e Holyrood

il parlamento di Edimburgo
9 dicembre 2019
|

Uscire dal Regno per scongiurare l'uscita dall'Ue: la Brexit riaccende il vento secessionista a nord del Vallo di Adriano, a tutto vantaggio degli indipendentisti dell'Snp, destinati secondo i sondaggi a una larga vittoria in Scozia. Dove al dualismo tra destra e sinistra, che lacera i britannici a ormai tre giorni dal voto di giovedì 12, si somma quasi a sostituirlo un doppio dilemma: sul divorzio da Londra e su quello da Bruxelles.

A nord del vallo la first minister di Edimburgo, Nicola Sturgeon, leader dello Scottish National Party, domina la scena. Con il suo bus tutto giallo (colore dell'Snp) decorato dalla scritta 'Stop Brexit'. Ma anche con la promessa di un nuovo referendum sulla secessione già entro il 2020. In campagna elettorale il suo partito ha insistito sull'impatto negativo che la Brexit avrà sulla Scozia, dove nel 2016 oltre 6 elettori su 10 avevano votato per restare con Bruxelles. "Non abbiamo votato la Brexit e ne conosciamo bene le conseguenze negative - ribadisce Michael Russell, responsabile degli affari costituzionali nell'Snp -. Tutte le nostre soluzioni di compromesso sono state respinte dal governo centrale. A questo punto sentiamo il diritto di scegliere tra una Brexit con il resto del Regno ed essere una nazione indipendente in Europa".

Il rischio dopo le urne è dunque di uno scontro aperto tra Westminster e Holyrood, il parlamento di Edimburgo. Anche se l'Snp "non seguirà l'esempio catalano - prevede Akash Paul, analista dell'Institute for Government -, non organizzerà un referendum senza il consenso del governo centrale". Del resto i sondaggi sull'indipendenza, a dispetto di quelli elettorali, continuano a non essere così incoraggianti per la Sturgeon: e l'ultimo indica un 53% per il no, contro il 47 di favorevoli.

Nel collegio nord-est di Glasgow, storicamente indipendentista, due anni fa si era imposto - a sorpresa - il laburista John Sweeney. Il quale di fronte alla rinnovata voglia d'autonomia insiste che le priorità restano altre, in una città dove l'aspettativa di vita tra gli uomini è sette anni più bassa che nel resto del Regno Unito. "Abbiamo bisogno di investimenti pubblici dopo 10 anni d'austerity e di pesantissimi tagli da parte dei governi Tory - le parole di Sweeney -. Tagli che hanno pagato soprattutto i più deboli: nel mio collegio c'è stato un allarmante aumento di disperazione e povertà". Ma il rischio principale per Sweeney, e per il suo leader Jeremy Corbyn, resta in Scozia quello di pagare elettoralmente gli equilibrismi imputati a lungo al Labour in materia di Brexit.

Come accusa la sua diretta rivale, Anne McLaughlin, dell'Snp: "Siamo noi l'unico partito che si è sempre espresso contro l'uscita dal mercato unito. La cosa più importante è che il futuro della Scozia sia messo nelle mani degli scozzesi, togliendolo dal controllo di Westminster". Uno strappo non riuscito 5 anni fa, quando il 55% rigettò il distacco. Ma che lascia "ferite non rimarginate", ammette Pamela Nash, direttrice unionista di Scotland in Union. Ferite che la Brexit potrebbe ancora riaprire, dando argomenti a chi vuol rompere quei legami con Londra che durano da 312 anni.

Resta connesso con la tua comunità leggendo laRegione: ora siamo anche su Whatsapp! Clicca qui e ricorda di attivare le notifiche 🔔
POTREBBE INTERESSARTI ANCHE