Gran Bretagna

Il nuovo piano di Boris Johnson per la Brexit: doppio confine

Nell'ultima proposta alla Commissione europea si propone di lasciare l'Irlanda del nord in una 'zona regolamentata' comune all'Ue, ma è complicato

(Keystone)
2 ottobre 2019
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Vuole spedire Jeremy Corbyn nello spazio. Dice che se Westminster fosse un reality show nella giungla, ci si potrebbe divertire a vedere lo speaker John Bercow mangiare un testicolo di canguro. Tutto il resto, nelle parole del premier britannico Boris Johnson, è perfino più incomprensibile.

A partire dall’ennesima ‘svolta’ nella Brexit sbandierata ieri, con la proposta di un improbabile ‘doppio confine’ irlandese. E davvero, più ancora delle battutacce durante la convention Tory a Manchester, a lasciare sconcertati molti osservatori è la lettera inviata da Johnson alla Commissione europea. Vi si propone un aggiramento del backstop, la famosa clausola – non sbadigliate – secondo la quale l’Irlanda del Nord dovrebbe rimanere nel mercato unico Ue qualora non si firmi un trattato di libero scambio entro due anni dalla Brexit. Ora: se il backstop era stato bocciato dal Parlamento perché minerebbe l’unità territoriale britannica – questa la tesi di una maggioranza parlamentare fomentata dal Partito unionista nordirlandese –, ora BoJo pare concedere ancora di più: la creazione (e un probabile mantenimento fino al 2025) di una “zona regolamentata” che comprenda tutta l’Irlanda e riguardi ogni tipo di merce.

In questa zona ci si muoverebbe ancora come se Belfast restasse in effetti nel mercato unico. Al termine del periodo di transizione, con la firma dell’auspicato trattato di libero scambio ‘alla canadese’, l’Irlanda del Nord tornerebbe invece pienamente entro l’area britannica, con tutti i controlli doganali – seppure decentralizzati e digitalizzati – che l’Ue non vuole.

L’escamotage servirebbe anche a non indebolire gli accordi del Venerdì Santo che hanno posto fine ai violenti conflitti fra Cattolici e Protestanti in Irlanda del nord, e presuppongono almeno implicitamente l’esclusione di un confine ‘duro’. Al termine del periodo di transizione, con la firma dell’auspicato trattato di libero scambio ‘alla canadese’, l’Irlanda del Nord tornerebbe comunque pienamente entro l’area britannica.

La nuova proposta avrebbe anche l’appoggio dei capricciosi protestanti nordirlandesi, cruciale per assicurarsi la maggioranza parlamentare: a convincerli la possibilità per l’Ulster di votare sulle nuove regole a cadenza quadriennale. Il problema è che né i Labour, né tantomeno il governo di Dublino vogliono saperne: la ministra irlandese degli Affari europei Helen McEntee ha definito l’offerta “inaccettabile”, l’opposizione di Fianna Fail l’ha liquidata come “impraticabile e illegale”. Più attendista il “Dear Jean-Claude” (Juncker) destinatario della letterina di Downing Street, che ha parlato di “progressi”, seppur “problematici”.

Quale che sia la posizione della Commissione europea – il momento decisivo per capirci qualcosa sarà il Consiglio europeo del 17 ottobre –, per ora il problema rimane anzitutto interno alle dinamiche politiche londinesi. Johnson insiste per un’uscita rapida, vuole sospendere il Parlamento a partire da martedì nonostante il veto della Corte Suprema,e e ribadisce che non si sente vincolato dalla recente legge che gli impedirebbe di uscire senz’accordo alla scadenza del 31 ottobre (e che lui definisce “legge della resa”, sostenendo che indebolirebbe la credibilità della sua posizione nei negoziati con l’Ue). Corbyn intanto fa muro e cerca di farlo cadere insieme alla fronda interna ai Tory, come aveva fatto con Theresa May.

Un anno fa, alla stessa convention Tory, la ex premier si era presentata mimando il balletto di ‘Dancing Queen’ degli Abba (e molti pensarono “ce la siamo giocata”). Quest’anno BoJo ha evitato i balletti ridicoli, in favore di canguri e testicoli. Ma c’è sempre meno da ridere.

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