Estero

Il giorno della verità per Donald Trump

Domani mattina i risultati Stato per Stato diranno se avrà ancora una maggioranza repubblicana in Congresso

Keystone
6 novembre 2018
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È il momento della verità. L'America si è recata alle urne in massa per le elezioni di metà mandato e stanotte i risultati Stato per Stato diranno se Donald Trump avrà ancora una maggioranza repubblicana in Congresso pronta a sostenere l'agenda dell'America First. Oppure se i prossimi due anni di mandato, prima delle presidenziali del 2020, saranno da 'anatra zoppa'.

Per il tycoon è il giorno più lungo da quando è partita la sua avventura alla Casa Bianca, dove si è trincerato insieme ai familiari e ai suoi più stretti collaboratori per seguire minuto per minuto l'Election Day. Mettendo in piedi una vera e propria 'war room' e preparandosi a tutti i possibili scenari. L'affluenza record registratasi da una parte all'altra degli Stati Uniti fa ben sperare i democratici, che gli ultimissimi sondaggi hanno continuato a dare in leggero vantaggio. In molti auspicano quella 'blue wave' che permetterebbe loro di riprendersi la Camera del Congresso e, con un po' di fortuna, anche il Senato. Oltre che conquistare, dalla Florida alla Georgia, le ambitissime poltrone di governatore dello Stato, in due Stati dove vinse Trump. Seppure fino all'ultimo non è mancata la voce di chi ha predicato prudenza, ricordando lo shock del 2016 con la sconfitta a sorpresa di Hillary Clinton.

Fin dal primo mattino lunghissime ovunque le file ai seggi, a dimostrazione che l'appello ad andare a votare, ossessivamente rivolto dall'una e dall'altra parte nel finale di campagna elettorale, è stato preso alla lettera. Se si contano anche i 36 milioni di elettori che hanno optato per il voto anticipato, mai alle midterm l'affluenza è stata così elevata dalla fine degli anni '60. Anche questa un'indicazione del clima che si respira negli Usa, in cui negli anni dopo la crisi sono cresciute le divisioni e dove gli elettori sentono più che mai di dover dire la propria in un Paese che appare ad un bivio. Bisogna scegliere tra due visioni diametralmente opposte in economia come in politica interna e in politica estera. E, comunque finirà, difficile immaginare un rapido ritorno all'unità dopo una delle campagne elettorali più velenose e contrastate della storia americana. "L'America è di nuovo rispettata nel mondo. I tempi in cui si approfittavano di noi sono finiti", ha affermato il tycoon nel comizio di chiusura della sua campagna.

Nella notte si contano i voti. Ai dem servono 23 seggi in più per riprendersi la maggioranza alla Camera dei rappresentanti, e gli occhi sono puntati soprattutto sulla carica delle donne che il partito è riuscito a mettere in campo nelle varie circoscrizioni elettorali, un numero senza precedenti. Al Senato di seggi ne basterebbero due, ma molte delle sfide sono in Stati dove nel 2016 ha vinto il tycoon, e questo rende tutto più complicato. Come in Texas, teatro della supersfida tra l'ex candidato presidenziale Ted Cruz e l'astro nascente del partito democratico Beto O'Rourke, "l'Obama bianco" come è stato ribattezzato. Anche in Florida il democratico Bill Nelson spera nell'impresa battendo per un seggio senatoriale il governatore repubblicano uscente Rick Scott. E a fargli da traino potrebbe essere il più carismatico Andrew Gillum, se questi dovesse diventare il primo governatore afroamericano del Sunshine state ai danni del falco e 'Trump style' Ron DeSanctis. C'è poi il profondo sud della Georgia, dove la svolta per i dem potrebbe arrivare dalla vittoria di Stacey Abrams, candidata a diventare la priva governatrice nera della storia Usa. "Oggi diciamo basta, ne abbiamo abbastanza", ha twittato Hillary Clinton, sintetizzando lo stato d'animo e l'ottimismo di tanti democratici. Incurante, fa osservare qualcuno, degli scongiuri di molti.

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